Willie Sojourner
 
UN GIORNO DA LEONI
Quando alle 10.50 del 15 settembre 2005 la mole di Willie Sojourner, in maglietta blu a righe orizzontali, si stagliò sulle teste dei passeggeri in arrivo all’aeroporto Leonardo da Vinci, le guance di Domenico Zampolini si rigarono di lacrime di gioia. Ad accogliere il più grande campione del basket reatino c’era una piccola delegazione formata da Gaetano Papalia; Ermanno Salari; Luigi Ricci de Il Messaggero insieme al fotografo Enrico Meloccaro; Luca Rivani per la TV reatina RTR. Saluti, baci, abbracci, il più forte a Domenico, mentre un’incuriosita folla di viaggiatori da tutte le parti del mondo si domandava cosa stesse accadendo e chi fosse quel grosso personaggio accolto in pompa magna.
Mentre Sojourner beveva in aeroporto il primo vero cappuccino italiano dopo 13 anni, e già non vedeva l’ora di mangiare un bel piatto di fregnacce, Zampolini chiamò al cellulare Roberto Brunamonti. I tre erano come fratelli. L’ex playmaker della Sebastiani, felicissimo, chiese a Willie come stesse: “Io? – rispose Sojourner col tipico slang tra inglese, italiano e dialetto reatino – sono grasso come un maialino!”. E poi via, alla volta di Rieti, verso una nuova storia che prometteva felicità e che si credeva lunga almeno due anni, come da accordo verbale preso con il presidente Papalia, allegro come non mai.
Zio Willie arrivò a Rieti verso mezzogiorno e, mentre stava scegliendo qualche indumento per la sua immensa taglia n. 62 nel negozio di Ermanno Salari, Gigi Simeoni passò in bicicletta in via Roma. Sojourner uscì e lo abbracciò fortissimo con le sue lunghe braccia tanto da fargli mugugnare mezzo soffocato: “Piano Willie, me fai male!”. In realtà Gigi era felicissimo di ritrovarsi stretto in quella morsa d’acciaio.

Passò anche Maurizio Lasi. “Willie – gli domandarono - te lo ricordi?”.
“Certo!, l’ho stoppato tante volte!”.
Ma il coach, felice dell’incontro precisò: “Una volta sola, perché poi non sono più entrato in area!”.
Willie guardava i palazzi di via Roma: “Lì c’era TeleSabina e laggiù c’è ancora la farmacia?”. Il tutto senza mai farsi sfuggire una donna, di qualsiasi età, per regalarle un sorriso smagliante. Ne passò una di cui ancora si ricordava dopo ben 23 anni. Incuriosita dal quel gigantesco signore nero la donna si fermò titubante chiedendo: “Ma è Willie?” e alla risposta affermativa aggiunse “Io ero una bambina quando tu giocavi qui”. E lo Zio, spiazzante: “Anch’io!”.
La voce dell’arrivo si sparse subito e la gente già lo andava cercando. Willie, come un Maometto nero, doveva solo aspettare che la montagna, cioè la gente di Rieti, andasse da lui. Poco dopo sopraggiunse Andrea Sanesi che gli passò al cellulare lo zio Gianfranco, cognato di Willie. Purtroppo il mitico Padella doveva restare a Treviso a causa degli impegni di lavoro e della squadra di C1 che allenava da quelle parti. Gianfranco assicurò che sarebbe venuto a Rieti prestissimo. Purtroppo nessuno dei due immaginava che non si sarebbero mai incontrati.

Giunto in piazza Vittorio Emanuele, Sojourner procedeva a un metro al minuto perchè tutti volevano salutarlo, abbracciarlo, stringergli la mano. Un ultrà della curva Terminillo addirittura s’inginocchiò davanti a lui. Mentre brindava con Giancarlo Passi ed altri amici, gli fu mostrata la pagina de Il Messaggero con la maxifoto della semifinale di Korac del 1980 dove svettava sotto canestro contro la Jugoplastika: “Che zompo!” commentò e poi, dopo il classico brindisi “A Willie” alzò il calice e disse: “Ma chi è questo Willie?”.
Di nuovo in strada, tre ragazzine nate almeno dieci anni dopo che lasciò Rieti chiesero un autografo sui quaderni di scuola e lui, sorridente, chiese: “Come si scrive zio?”. Andò avanti così tutto il giorno. Ma il meglio doveva ancora accadere.
La sera stessa al Palaloniano lo aspettava un vero e proprio bagno di folla: la più bella serata della sua vita dal 1982. In programma c’era un’amichevole tra Nuova Sebastiani e Lottomatica Roma, il cui general manager era Roberto Brunamonti e nelle cui fila giocava David Hawkins, ultimissimo idolo di Rieti. Ma per i 3.500 presenti tutto passò in secondo piano per la presenza di Sojourner che, prima di raccogliere l’ovazione dei tifosi, fu invitato a fianco del suo ex presidente, Renato Milardi, a inaugurare il piazzale antistante al palasport intitolato alla memoria di Italo Di Fazi: colui che, insieme a Doctor Milardi, ebbe un ruolo fondamentale nei sei anni di permanenza a Rieti di Willie, profondamente commosso durante la breve cerimonia.
Ore 20: stretto tra tantissimi amici e vecchi compagni di squadra, finalmente Willard Leon Sojourner rientrava, dopo ben 23 anni, nel palasport che fu il suo regno e venne sommerso da un’interminabile standing ovation. A fine partita, nonostante i crampi per i mille autografi firmati, all’ennesima richiesta “Willie facci un gancio!” lo Zio prese la palla e accontentò tutti.
A cena, Sojourner tenne banco tutta la sera chiedendo agli ex compagni: “Vi ricordate di quella volta? Di quel giocatore? Di quella partita?”. Ma nessuno si ricordava un tubo.
“Già durante il viaggio da Fiumicino – ricorda Zampolini – Willie faceva raffronti col passato e diceva ‘Ti ricordi quella ragazza che abitava lì?’ e indicava un punto di Roma oppure di Passo Corese. Ed anche ‘Qui invece – mentre transitavamo a Maglianello – una volta andai fuori strada”.

“Non è possibile che non ricordiate nulla – insisteva Willie durante la cena di fronte alle amnesie degli ex compagni – ma quanti anni avete?”. E tutti a rispondere chi 50, chi 48, chi 42, chi 46. Al che lo Zio, 58 anni accertati, ma forse qualcuno di più, esclamò: “Io ne ho 25 e mi ricordo tutto!”. La simpatia e il carisma del passato erano intatti e lui si sentiva veramente, finalmente, a casa.
A fine serata autografò il registro delle presenze col suo classico motto “Be yourself – sii te stesso – Willie Sojourner, # 18”. Ma l’unico a non voler andare a dormire, nonostante la fresca trasvolata oceanica, era proprio lui che, vedendo gli altri andar via esausti, esclamò: “Lo dicevo io, siete proprio invecchiati!”.

I 35 GIORNI
Ad attendere Sojourner a Rieti erano in tanti ma, fra tutti, chi non stava più nella pelle era Alfiero Vicari, lo Sceriffo: compagno di tantissime trasferte, di mille avventure e di innumerevoli partite a poker. Fu un incontro particolarmente toccante. Il sentimento di amicizia che li legava era di quelli veri, solidi, indistruttibili, capace di durare oltre la morte che, come in una tragedia greca e senza che nessuno potesse immaginarlo, già incombeva su entrambi. Fu proprio lo Sceriffo ad insistere per anni presso i presidenti della Sebastiani affinché Sojourner tornasse a Rieti, dove avrebbe potuto ricoprire un ruolo tecnico e di immagine.
Gaetano Papalia, legatissimo alla storia e alla tradizione della Sebastiani, recepì subito il messaggio, che coincideva col proprio desiderio, e fece rintracciare, di cui si erano perse le tracce, offrendogli non solo il biglietto aereo, come già accadde nel 1992, ma anche un contratto biennale quale coordinatore del settore giovanile.

Grazie ai personali contatti con gli States di Ermanno Salari, dopo un tentativo andato a vuoto, perché il numero di telefono fornito da Rita Di Loreto era vecchio, fu raggiunto Tony Zeno a Los Angeles. E fu proprio lui a fornire il numero del cellulare di Sojourner, rintracciato ad Albuquerque, New Mexico, dove, come raccontò lo stesso Willie, viveva in stile nomade in una roulotte con cui spostarsi da una località all’altra per dare sfogo alla sua grande passione per la pesca. In questo modo aveva anche scovato un laghetto poco conosciuto tra le montagne del New Mexico al quale lo Zio confessò che gli sarebbe piaciuto dare il suo nome.
Sojourner, nonostante grossi problemi finanziari, confidò a Zampolini di essere riuscito ugualmente a mettere da parte del denaro in una banca a Philadelphia. Così descrisse il suo stile di vita durante una trasmissione televisiva a RTR appena 26 ore prima di morire: “Lavoravo quando avevo bisogno di soldi e poi andavo a pesca finché non erano finiti. E poi  ricominciavo a lavorare”. Ed era un lavoro intenso perché, grazie a turni lunghi fino a 15 ore giornaliere, in una settimana Sojourner riusciva a guadagnare quanto gli bastava per tirare avanti alcuni mesi.
L’offerta giunta da Rieti lo trovò subito interessato perché la città dove aveva vissuto anni indimenticabili gli era rimasta nel cuore. Willie non l’avrebbe mai lasciata se non fosse stato per l’insistenza della moglie Jean, preoccupata per il futuro dei propri figli che vedeva più facile negli Stati Uniti piuttosto che in Italia. Il modo di intendere la vita e la libertà avevano portato Sojourner a interrompere il legame con la consorte, divenuta infermiera professionista, della quale però Willie rimase sempre innamorato: “Jean ha gli occhi del colore del cielo” ripeteva a chi gli chiedesse qualcosa della sua ex. In realtà il divorzio gli era costato molto. Aveva perso la casa e il mantenimento di Jean e dei tre figli lo aveva praticamente dissanguato. Alcuni business andati male fecero il resto per cui, alla fine, l’uomo abituato alle ovazioni del pubblico europeo si adattò a molti lavori, non tutti esaltanti.

“Per noi che abbiamo avuto successo in Europa – spiegò Tony Zeno, invitato a Rieti da Papalia per rendere omaggio a Sojourner – è difficile riadattarsi all’anonimato in patria. Willie trovò certamente più difficoltà degli altri, perché il suo cuore era sempre a Rieti”.
Con la sua solita espressione finto-svagata Sojourner rivisitò tutta Rieti confrontandola con le sue memorie. Non aveva dimenticato nessuno e per tutti ebbe la parola giusta, qualche volta beffarda, com’era nel suo carattere. Pochi giorni dopo il suo arrivo, Willie rivide un amico giornalista, di cui aveva notato l’assenza la sera del 15 al Palasport, soltanto perché quel giorno non era in Italia. Sojourner lo rimproverò apostrofandolo tra lazzi e scongiuri: “Ma come, non sei morto?”. Willie cominciò subito a inserirsi nell’ambiente della Sebastiani: da Maurizio Lasi allo staff tecnico, dalla prima squadra ai ragazzi del settore giovanile. Intanto Zampolini pensava a rivestirlo: “Sono partito appena è stato pronto il passaporto – spiegava Sojourner - potevo preoccuparmi del vestiario?”.
Com’era già avvenuto nel 1976, l’innamoramento fu immediato e totale. Il grande carisma dell’uomo che non si arrabbiava mai, aveva fatto anche in quel caso un miracolo perché, in pochissimi giorni, tra i giovani e il vecchio campione si era subito creato una grande legame.
Una sera, mentre Willie era in piazza del Comune, vicino alla fontana, con dei ragazzi, uno di questi chiamò Andrew Howe, proveniente da via Garibaldi. Mentre il campione di atletica si avvicinava, qualcuno spiegò rapidamente chi fosse a Sojourner, il quale subito esclamò: “Sbrigati! Mamma mia come sei lento! Sei una lumaca!”.

Gli americani della Sebastiani capirono subito che il loro connazionale – un pezzo di storia del basket a stelle e strisce grazie alla fraterna militanza al fianco di Doctor J – era qualcosa di speciale che avrebbe potuto insegnare loro molte cose. Anche Maurizio Lasi, ex nemico in campo in passato, colse subito l’umanità del personaggio.
Ma qui entrò in azione il FATO.
A due soli giorni dal ritorno in Italia, era sabato sera, mentre Sojourner si trovava con la Sebastiani a Veroli per un torneo, lo Sceriffo ebbe un malore. Inutile la corsa in ospedale: il suo cuore settantenne non aveva retto a tanta felicità per il ritorno dell’amico e cedette di schianto.
Fu quella una notte veramente tragica, non solo per Sojourner e Rieti. Al torneo di Veroli partecipava anche Roseto: purtroppo, alle prime luci dell’alba, tre dirigenti del club abruzzese, quasi al termine del viaggio di ritorno, a pochi chilometri da casa perirono in un incidente d’auto.
Da quel momento la fresca felicità di Willie vacillò: non appena la sua mente andava a quanto era accaduto scoppiava in lacrime “La morte dello Sceriffo è stata colpa mia – diceva agli amici – non l’avrei dovuto lasciare. Fossimo stati insieme si sarebbe salvato”. Questa ossessione l’avrebbe accompagnato fino all’ultimo giorno.
Se la morte dello Sceriffo rappresentava un grande cruccio, non per questo Sojourner appariva diverso. Il suo modo di fare, di porsi di fronte agli altri e di familiarizzare, in brevissimo tempo gli aveva fatto conquistare il cuore di tutti, anche e forse soprattutto dei tifosi più giovani: quelli che per motivi di età non l’avevano mai visto, alto e bello, svettare sul parquet sopra compagni ed avversari per spezzare il pane della sua grande classe e saggezza cestistica. Willie svolgeva il suo dovere con impegno e così, mentre riprendeva i contatti con tanti vecchi amici, nel frattempo se ne faceva continuamente di nuovi. Infatti, fra i vari compiti assegnatigli c’era proprio quello di curare l’immagine della società. Durante le trasferte ai tornei di Veroli e Matelica e in quelle di campionato ad Avellino e Ferrara, Sojourner, con grandissima semplicità, catturare immediatamente il rispetto e la simpatia dei dirigenti e dei tifosi locali. Un’altra dimostrazione che ormai si sentiva di nuovo a casa.
“Gli anni vissuti a Rieti – confidò ad un’amica poco prima di morire – sono stati i più belli della mia vita. Appena arrivai tutti mi guardavano con curiosità ed anche con un po’ di diffidenza. Ma io, con la mia faccia, non ho impiegato molto a farmi voler bene. ‘Your face is your fortune’ – il tuo volto è la tua fortuna ndr. - mi disse una volta un amico. Così iniziò il più bel periodo della mia vita. Ricordo il Club 66 e il Covo pieni di gente dopo le partite; le interviste a Radio Sabina; alcuni amici più cari come lo Sceriffo, il dj Alberto, Attilio, Flavio. Ero felice perché avevo trovato la mia casa, la mia gente. Furono anni di successi e felicità, con poche delusioni. Mia moglie preferiva gli Stati Uniti ma nonostante ciò mi sentivo vivo: quante vittorie, quanta gloria”.
“Poi tutto è finito – proseguì - Avrei voluto chiedere alla società di non mandarmi via. Forse lo confessai a Flavio Fosso. Non ricordo. Sono sicuro che se gli avessi chiesto di scrivere un articolo sui miei desideri lui l’avrebbe fatto con la consueta professionalità. Ma non glielo chiesi”.
“Così tornammo negli USA – la parte più triste della vita di Sojourner – dove ho trascorso tante giornate con una continua ed oscura sensazione di provvisorietà, come se stessi vivendo un periodo transitorio in attesa che avvenisse qualcosa. Sentivo che la mia casa era a Rieti. Laggiù, oltre oceano, non avevo più nulla: né casa, né famiglia. Tutto svanito. Ho provato anche la fame e la vergogna: ho fatto lo spazzino ma poi è arrivato il miracolo. Mi hanno cercato, ritrovato e invitato a tornare a Rieti: cioè a casa. Certo, molte cose sono cambiate, tante persone non ci sono più, ma l’aria è la stessa. Sarò ancora felice”.
Martedì 18 Ottobre, insieme al fido Zampolini, Sojourner era ospite al programma televisivo Time Out, condotto da Luca Rivani. Una valanga di messaggi di affetto e ammirazione da parte dei tifosi si susseguì ininterrottamente durante la trasmissione in cui lo Zio dette spettacolo.
A un certo punto si parlò delle enormi mani di Willie e di quelle ancora più grandi di Julius Erving, il che spiegava perchè Dr. J non fosse un gran tiratore da fuori area: “Julius non riusciva ad avere la giusta sensibilità con i polpastrelli per il tiro – spiegò Sojourner - mentre i mie polpastrelli – e qui la voce si fece sensuale e allusiva - sono tanto sensibili, non solo quando accarezzano un pallone!”.
Finito il programma, un rapido accordo con un amico giornalista: la domenica successiva, dopo il pranzo con i Veterani dello Sport che l’avrebbero premiato, neanche a dirlo, insieme a Zampolini, avrebbero fatto visita ad una persona sofferente. Dopodichè tutti i partecipanti alla trasmissione andarono a bere una birra.
Nel locale c’era il karaoke e tutti urlavano e cantavano, c’era tanta allegria. Poi, improvvisamente, lo Zio si fece serio e una lacrima gli rigò il volto. “Willie, che succede?”.
“Non posso dimenticare lo Sceriffo” rispose asciugandosi la guancia. Poco dopo, il karaoke si lanciò in una stonatissima versione di Ti amo di Umberto Tozzi e il volto di Willie si rianimò di allegria: “Mamma mia, questa canzone mi fece una testa così!” e cominciò anche lui a cantarla.
La serata proseguì tra uno scherzo e una canzone. Willie scambiò una battuta con un signore mai visto prima che invitò subito al suo tavolo per offrirgli da bere. Lo sconosciuto educatamente rifiutò e allora Willie gli chiese: “Ti piacciono le donne?”.
“Certo” rispose l’altro.
“Allora se non bevi con Willie è come se dicessi no a una bella donna!”. Lo sconosciuto ordinò subito da bere.
Al momento di andar via Sojourner, come ai bei tempi, infilò la mano in tasca e lasciò sul banco tutti i soldi che aveva per pagare il conto. Quanti altri avrebbero fatto un simile gesto dopo oltre venti anni di sacrifici vissuti in patria? Questo era Willie: un uomo di infinita bontà e generosità.
Mercoledì 19 Zampolini era invitato a cena a casa Maistrello, tifoso doc, dove l’attendeva Raffaello, altro grande appassionato di basket. “Posso portare un amico?” aveva chiesto e dopo l’ovvia risposta affermativa si presentò con Willie. Figurarsi l’accoglienza e la bella serata.
Intanto il FATO era ormai scritto. Erano appena trascorsi trentacinque giorni dal 15 settembre. Mezz’ora dopo l’inizio del 20 Ottobre, Willard Leon Sojourner avrebbe raggiunto lo Sceriffo ed Elio Pentassuglia, l’allenatore che meglio di tutti lo seppe gestire sia dentro che fuori dal campo.

LA TRAGEDIA
E’ trascorsa da poco la mezzanotte di mercoledì 19 ottobre quando Willie Sojourner saluta Giancarlo Imperatori, meglio conosciuto con il nomignolo di Crosby, titolare del bar di Porta Cintia, da sempre abituale ritrovo di giocatori e appassionati di basket. Willie beve un ultimo Bacardi-Cola e poi sale in auto prendendo la strada di casa, vicino Vazia.
Piove, ma il fatto non lo preoccupa perché è abituato a guidare veloce e poi non vuole fare attendere chi lo sta aspettando. Willie percorre viale Maraini, via Porrara, via Togliatti e si immette sulla Terminillese. Non c’è traffico e può correre come gli piace, tanto più che la strada è dritta: c’è solo una semicurva a sinistra che non è certo difficile da affrontare, anche a velocità sostenuta. Quando l’abborda l’auto pattina sull’acqua, le ruote posteriori perdono aderenza e comincia a girare se stessa. “My God – probabilmente pensa Sojourner - chi glielo dice domani a Zamp…”. Passa forse un secondo, due al massimo, e poi il pensiero è interrotto da un crash infernale perché, cinquanta metri dopo la curva, ci sono due alberi, due piante solitarie messe lì chissà per quale motivo, contro una delle quali la Bmw 520 si schianta, accartocciandosi dalla parte della guida, senza riuscire ad attutire l’impatto. Il fisico possente rimane schiacciato contro la lamiere e Willie muore sul colpo.
Qualcuno ha sentito il frastuono e telefona subito per chiamare i soccorsi. Arrivano i Carabinieri, i Vigili del fuoco, il 118. Viene allertato Raffaele Iacoboni, medico di guardia presso il reparto di ortopedia dell’ospedale De Lellis, che però subito dopo riceve un’altra telefonata: il medico non serve più. Il 118 rientra e, al suo arrivo, il dr. Fabio Picuti, magistrato di turno, non trova altro che il corpo del pivot più amato dai reatini disteso per terra in tutta la sua mole, il viso sereno, come se dormisse. Intorno c’è un’atmosfera surreale, un’aria tiepida, mentre dal cielo è smesso di piovere.
I cinque Vigili del fuoco si sono raggruppati come a farsi coraggio l’un l’altro. E’ gente dura, abituata alle tragedie, eppure questa volta non ce la fanno ed hanno gli occhi rossi. Il magistrato non è accorso soltanto per dovere, per quello sarebbero bastati i rilievi dei Carabinieri, ma perché lui stesso - appassionato di basket, sempre presente in prima fila al Palasport con la moglie Roberta, nonché nipote di Alberto Tomassoni, altro grande sportivo reatino del passato - vuole esserci in un momento così drammatico e si accorge di trattenere a stento le lacrime, come i cinque Vigili del fuoco.
Poco lontano Domenico Zampolini piange e telefona. E’ disperato, perché ha perso, per la seconda e ultima volta, il compagno di squadra, l’amico vero, il fratello. Qualcuno copre quel grande corpo senza vita con un lenzuolo.
Quella stessa sera Zampolini e Sojourner erano stati a cena insieme, poi Willie si era fermato da Crosby e Domenico era tornato a casa.
Mezz’ora dopo il telefonino di Zampolini squilla e lui risponde assonnato. “Senti – dice una voce solo apparentemente tranquilla di un amico poliziotto – ti debbo dire una cosa. E’ accaduto un incidente a Willie. Puoi venire sulla via del Terminillo?”.
“Amico – risponde il buon Domenico – sto già a letto, ho appena lasciato Sojourner in piena forma, quindi piantala con questo scherzo. Ci vediamo domani”.
La voce dall’altra parte ora è rotta dall’emozione: “Vieni subito perché Willie è morto”.
Pochi minuti dopo Zampolini, il cuore in tumulto, è già sulla scena della tragedia dove si abbandona alla disperazione ma non dimentica il suo dovere e avverte la società. Poco dopo arrivano stravolti Umberto Papalia ed Elisa, figlia del presidente Gaetano, ed Ermanno Salari, grande amico di Willie.
In breve la notizia inonda la città. I primi drammatici sms iniziano già a circolare neanche un quarto d’ora dopo l’incidente. Molti li leggeranno soltanto il giorno dopo al risveglio. Infatti, la mattina presto, lo sanno già quasi tutti e subito comincia il pellegrinaggio verso l’albero fatale. Sojourner è all’obitorio, l’auto è stata rimossa. Sotto la pianta ora crescono tantissimi mazzi di fiori che sportivi e cittadini portano a colui che amava la nostra città come, e forse più, di chi ci fosse nato. Verso le dieci il Comando dovrà inviare due vigili urbani per regolare il traffico.
Indagini ed analisi confermeranno alcune importanti certezze: la morte è stata causata dalle gravissime lesioni interne in più parti del corpo; l’incidente è avvenuto per la grande velocità e la pioggia; l’autopsia ha accertato che le tracce di alcool nel sangue erano assolutamente ininfluenti, paragonabili a quelle di una persona normale che sia stata a cena. Lo straordinario fisico dell’ormai cinquantottenne ex pivot non ne aveva minimamente risentito.
Willie avrebbe potuto vivere cento anni ed invece era tutto finito. Appena trentacinque giorni dopo il suo trionfale ritorno.

GOODBYE WILLIE
Già molto prima delle 15 di sabato 23 le tribune del Palaloniano e la curva Terminillo erano gremite di tifosi. Il catafalco, grazie all’autorizzazione per la messa da parte del Vescovo, su richiesta di don Rino Nicolò, grande appassionato di sport, era stato situato sotto il canestro di fronte alla panchina della Sebastiani. Sulla destra tre file di sedie per la squadra e l’intero l’organigramma societario; a sinistra la bandiera a stelle e strisce, il Tricolore ed il vessillo dell’Europa.
Quando il feretro è giunto dall’obitorio, dove era stata allestita la camera ardente, meta di un incessante pellegrinaggio testimoniato da un registro su cui, alla fine, si contaronoe 1456 firme, Willie Sojourner ricevette l’applauso più lungo, alto e commosso della sua esistenza. Al fianco della bara, anche  il cognato Gianfranco Sanesi, piangente insieme ai figli David e Nathalie.
Sugli spalti erano presenti cittadini ed autorità, ma soprattutto era percepibile la tangibile e spontanea commozione da parte di tutti. Rieti, città tiepida e disincantata, per un giorno ha vissuto solo di sentimenti ed emozioni e nessuno si è vergognato delle lacrime sgorgate alle parole di don Rino, durante la liturgia della parola letta da Maurizio Lasi e Roberto Feliciangeli, al commosso saluto di Gaetano Papalia – “Ti amo come un fratello, gli dissi pochi giorni fa al mio compleanno e lui rispose anch’io” – e a quello, rotto dalla commozione, di Domenico Zampolini mentre leggeva il messaggio di ringraziamento inviato da Matthew, il maggiore dei figli di Sojourner alla città di Rieti.
Nell’aria le note dell’Ave Maria di Schubert, cantata da Franco Gaudioso, diretto dal maestro Roberto Carotti, del Silenzio fuori ordinanza eseguito da Matteo Gentile, e, infine, di Star spangled banner, l’inno americano, accompagnarono i tifosi che sorreggevano sulle spalle il feretro per trasportarlo al carro funebre che avrebbe ricondotto il corpo di Willie verso l’ultimo viaggio negli Stati Uniti, per la cremazione.
Roberto Brunamonti, Luca Blasetti, Alberto Scodavolpe, Tonino Olivieri, Piero Torda, Luca Colantoni, Claudio e Paolo Di Fazi e tanti altri protagonisti delle imprese della Sebastiani salutarono la scomparsa di un grande uomo, mentre assistevano alla nascita di un mito incancellabile nel tempo.

THE SHOW MUST GO ON
La Sebastiani fu costretta a giocare domenica 23 Ottobre sullo stesso parquet dove soltanto il pomeriggio precedente era stata posata la bara contenente quello che ritenevamo l’indistruttibile fisico di Willie Sojourner. Difficile per chiunque giocare contro Rimini, avversaria di turno, che superò 65-96 una Nuova Sebastiani sotto shock. Da quel giorno l’impianto di Campoloniano fu ribattezzato PalaSojourner.
I tifosi esposero uno striscione con la scritta Willie no parte, come disse lo Zio in quella mattina d’aprile del 1978 quando, affacciatosi alla finestra di casa, rassicurò le centinaia di tifosi presenti in giardino che sarebbe rimasto a Rieti. 27 anni dopo la città che lo ha sempre amato volle ribadire con questo messaggio che il suo spirito non avrebbe mai lasciato Rieti. 

WILLIE’S GAME
Dopo la visita a Rieti di Julius Erving per rendere omaggio a Willie, il 18 Novembre, in memoria dello Zio fu disputata una partita a cui parteciparono, anche solo presenziando, tanti ex compagni di squadra ed ex avversari. I partecipanti furono suddivisi in due squadre. Ecco le formazioni.
Willie’s Friends Italia: Ciaralli, Sbarra, Magnifico, Gilardi, Della Fiori, Bariviera, Premier, Gay, Riva, Crow, Lasi, Castellano, Quagliatti, Iacoboni (in rappresentanza della Curva Terminillo).
Allenatore: D’Antonio. Assistente Miluzzi. Medici: Costini e Settimi. Massaggiatore: Benedetto Cerasa.
Willie’s Friend’s Rieti: Paolo e Claudio Di Fazi, Colantoni, Zampolini, Stringini, Pettinari, Brunamonti, Cerioni, Torda, Blasetti, Danzi, Scodavolpe, Carrer, Dordei, Mancin, Bernardinetti, Olivieri, il cognato di Willie, Gianfranco Sanesi e, giunti apposta dagli USA, Tony Zeno e il figlio maggiore di Sojourner, Matthew.
Allenatore: Papalia. Assistenti: Cordoni e Simeoni. Medico: Dominici. Massaggiatore: Luigino Cerasa.
Arbitri d’eccezione: Fiorito, Teofili e Filipponi.
Ospiti d’onore: il presidente della Fip, Fausto Maifredi e il sottosegretario ai Beni Culturali con delega allo Sport, Mario Pescante.
Speaker ufficiale della serata: Franco Lauro, coadiuvato da Roberto Guidobaldi.
La partita fu vinta 79-72 dai Willie’s Friends Italia, l’Mvp fu Tony Zeno che, a dispetto dell’età, fece intravedere la sua classe a chi non l’aveva mai visto giocare. La gara di tiro da tre punti fu vinta 66-45 dalla coppia Riva-Premier su Olivieri-Zeno.
Da citare le toccanti parole di Matthew Sojourner, che ripartì da Rieti con l’urna contenente le ceneri del padre: “Sono cresciuto a Rieti, dove ho vissuto sei anni. Quando siamo partiti definitivamente per gli USA, mentre stavamo andando in auto a Fiumicino guardavo dal finestrino e piangevo. Mia madre cercò di consolarmi dicendo ‘Non piangere, torniamo a casa!’. Ma io le risposi che Rieti era la mia casa. A quel punto scoppiarono a piangere tutti: mio padre, mia madre e i miei fratelli. Anche negli Stati Uniti abbiamo spesso ricordato e parlato di Rieti e della sua gente. Siamo stati bene e talvolta ci siamo chiesti perchè ce ne fossimo mai andati. Ci eravamo proposti di tornare prima o poi a Rieti e quando abbiamo saputo che papà stava per ritornarci siamo stati felicissimi. L’affetto manifestato dalla città ci ha aiutato moltissimo a superare il dolore e sono orgoglioso che tutti quelli che ho incontrato mi hanno ripetuto ‘tuo padre era un campione ma soprattutto un grande uomo!’”.
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