Sojourner Willard Leon
Nazione: Stati Uniti d'America
 
 

SOJOURNER NEGLI STATI UNITI

Solo gli avidi divoratori dei Giganti del Basket (Superbasket fu fondato nel 1979) e di tutto quel poco di scritto che varcava l’Atlantico sapevano che un certo Willard Leon Sojourner (nato a German Town, Pennsylvania, il 9 Ottobre 1948), dopo una buona carriera al Weber State College (19.3 punti e 14.1 rimbalzi di media) era stato scelto nel 1971 al 2° giro dai Chicago Bulls. Malgrado ciò Willie Sojourner non giocò mai nell’NBA e andò, invece, nell’ABA: la lega nata per fare concorrenza all’NBA, famosa per il pallone a spicchi bianco-rosso-blu e per il tiro da tre punti, che cercava di rubare giocatori all’altra lega promettendo milioni di dollari che poi mandarono l’ABA stessa in bancarotta nel 1976.
Sojourner firmò per i Virginia Squires, dove trovò Julius Erving, uno dei giocatori strappati all’NBA a suon di bigliettoni verdi. Erving era diventato famoso per la sua esplosiva elevazione che gli permetteva numeri impensabili e schiacciate favolose rese ancor più spettacolari dalle mani smisurate che gli consentivano di tenere il pallone con una mano come fosse una palla da tennis per un uomo qualsiasi. Erving e Sojourner divisero la stessa camera durante le lunghe trasferte del campionato ABA e divennero molto amici. E’ ufficiale che fu proprio Willie a coniare per Erving il soprannome di Doctor J per il quale il precursore di Michael Jordan è passato alla storia. L’amicizia con Doctor J fu tale che, un paio di anni dopo, quando il 1° Agosto 1973 fu ceduto ai New York Nets (sempre nell’ABA), il buon Julius pretese che nell’operazione fosse incluso anche il trasferimento dell’amico Willie (insieme a George Carter, i diritti di scelta su Kermit Washington, più 800mila dollari).
Di più, però, l’amicizia con Erving non poté. La legge del campo fu infatti inesorabile: Sojourner era un bravo pivot, dotato di buona tecnica ed elevazione, ma era troppo basso (pur essendo 2.05) e lento per giocare da centro in un top team come i Nets (6 punti, 4.8 rimbalzi e 0.5 stoppate di media in 4 stagioni tra Squires e Nets). Furono i playoff contro i Kentucky Colonels nel 1975 a dare la mazzata finale al povero Sojourner che ben poco poté contro i 7 piedi e 2 pollici, cioé 218 centimetri, di Artis Gilmore, il quale a fine carriera venne a giochicchiare 13 anni dopo, nella Fortitudo Bologna. Sojourner, annichilito da Gilmore, venne tagliato dai Nets e nessun’altra squadra ABA lo cercò più.
Willie andò quindi a sbarcare il lunario nella EBA, una piccola lega minore dell’est degli Stati Uniti da cui uscì anche qualche buon giocatore per l’Europa come Walter Sczerbiak (Real Madrid), Aulcie Perry (Maccabi Tel Aviv) e Harthorne Wingo (Cantù), quest’ultimo comunque con un buon passato nell’NBA. Sojourner nel 1975/76 giocò a Lancaster dove disputò un’ottima stagione: infatti divenne il miglior rimbalzista della lega e fu eletto MVP dei playoff malgrado i suoi Lancaster Red Roses avessero perso 3-2 la finale con gli Allentown Jets. Inoltre fu votato nel quintetto All Star dell’EBA, in cui era stato incluso anche Charlie Criss, un playmaker ex secondino che, malgrado fosse alto solo 1.75, riuscì a sfondare un paio d’anni dopo nell’NBA. Ma per Willie le porte del professionismo erano ormai definitivamente chiuse.

LA TELEFONATA

Fu Richard Percudani, un allenatore italo-americano che segnalava gli stranieri alla Sebastiani, a dare il numero di telefono di Sojourner a Di Fazi perché si accordasse sul viaggio aereo. Quindi Italo chiamò Attilio Pasquetti e gli disse: “Attì, doèmo telefonà in America a un giocatore. Percudani m’ha ‘atu lu nummero”.
Attilio chiese: “Come si chiama?”.
Di Fazi: “Aspetta ‘n’ po’… com’è che m’ha ìttu Percudani? Sorgiulio, ‘na cosa del genere”.
Attilio un po’ stupito rispose:  “Sorgiulio? Ma sei sicuro Italo?”.
Di Fazi: “E mmo’ que tte ìco? Non ce tenèo la penna pe’ scrìe. Bbidi ‘n’ po’ dde retroàllu”.
Pasquetti un po’ scettico: “Seh… Sorgiulio… ‘na parola!”
Fortunatamente Attilio, che conosceva l’inglese, lavorava alla Texas Instruments, da cui poteva avere contatti negli USA per procurarsi introvabili annuari di basket che consultò immediatamente. Dopo una accurata ricerca il fantomatico Sorgiulio sembrò essere Mike Sojourner fratello minore di Willie, che tra il 1973 e il 1975, aveva viaggiato a oltre 10 punti a partita e quasi 10 rimbalzi di media negli Atlanta Hawks, di cui fu 1^ scelta nel 1973, prima di spaccarsi un ginocchio. Ma quest’ultimo particolare ancora non lo sapevano né Pasquetti né tanto meno Di Fazi.
“Hello Mike?” disse Attilio Pasquetti, una sera di maggio del 1976, quando risposero dall’altra parte dell’oceano.
“Mike non c’è” replicò una voce dagli U.S.A.
“Chiamo dall’Italia – spiegò Attilio – Mike dovrebbe venire qui per un provino”.
“Mike non può venire, ha firmato con l’NBA. Vorrà dire che vengo io” rispose l’altra voce.
“Come vieni tu! E tu chi sei?” chiese esterrefatto Attilio.
“Sono Willie, il fratello maggiore”.
“Mah…, come…”.
“Non ti preoccupare, io sono forte – spiegò il fantomatico interlocutore – ho giocato nell’ABA con Doctor J. Sono bravo. Quando vengo?”.
Pasquetti si rivolse a Di Fazi: “Italo, Mike non può venire, Suo fratello Willie dice che viene al posto suo”.
Italo cominciò a innervosirsi: “Ma chi ha dda venì? Mike o Willie? Chi aveva detto Percudani? E mo’ ìstu chi è? Non ce stàio a capì più ccòsa!”
“Questo è suo fratello Willie. Dice che è bravo” gli spiegò Attilio.
“Mannaggg… Vabbè fallo un po’ venì… basta che è niru!” concluse spazientito Di Fazi che però chiamò subito Percudani:
“A Riccà! Ma chi m’ha dda mannà eh? Mike o Willie? Ecco non ce staèmo a capì più ccòsa!”
Percudani non si scompose e tranquillizzò Di Fazi: “Don’t worry Italo, non preoccuparti. Willie è bravo. Può giocare”.
“Mah! Sarà!” replicò un ormai rassegnato Di Fazi.
Era l’inizio di un grande sogno.

LA MANO SINISTRA DI WILLIE

Sojourner sbarcò a Fiumicino: grandissimo fisico, braccia smisurate, due badili al posto delle mani, ma una di queste, la sinistra, era vistosamente fasciata: «Un incidente con l’auto. No problem» spiegò a Gigi Simeoni, andato a prelevarlo all’aeroporto. Tra l’altro pare che proprio per quella mano infortunata Torino rinunciò a provare Sojourner. Immaginarsi la gioia di Di Fazi e Pentassuglia quando lo videro: «Come ca…volo farà a giocare» si domandarono invece Brunamonti e gli altri compagni. Ma Sojourner ripeteva «no problem».
Infatti, pochi giorni dopo, dette la prima prova della sua bravura contro una squadra estiva itinerante di giocatori americani, la Pro-Keds, guidata da Jim Mc Gregor. Sojourner incantò tutti segnando 32 punti: al Palaloniano non si era mai visto un pivot così dinamico, atletico, moderno nella tecnica che schiacciava e stoppava a più non posso. E poi quella palla gestita con una mano sola, lassù in alto dove nessuno poteva prenderla. Aveva già conquistato tutti. A fine gara i tifosi, ammaliati, volevano che Sojourner firmasse subito per la Brina, ma Pentassuglia e Di Fazi erano prudenti: «Vediamolo domani in amichevole di Siena. E poi quella mano fasciata». Insomma, quella mano sinistra preoccupava tutti.
E così si andò a Siena. Sojourner doveva giocare contro il compianto Enrico Bovone (2.10) e Carl Johnson, pivot bianco di 2.08, non bello a vedersi ma concretissimo, già da quattro anni al Sapori, in A1. Contro Siena Willie non entrò in quintetto base. Pentassuglia temeva che la partita contro la Pro-Keds fosse stata troppo facile. Sapete com’era: le squadre di Mc Gregor praticavano il “corri e tira”, difendevano in maniera un po’ allegra, c’era poca strategia, tanto uno contro uno, tutti i giocatori volevano mettersi in mostra e poi quella squadra non aveva un centro veramente temibile. Invece, contro le micidiali zone del Sapori di Ezio Cardaioli sarebbe stata ben più dura e poi i 4 metri e 20 di Johnson e Bovone facevano paura ad affrontarli con un pivot che aveva una mano fasciata. Così la partita andò avanti e Pentassuglia non metteva in campo Sojourner. Di Fazi più di una volta lo esortò: «E fallo entrà! - gli diceva - E allora?».
Alla fine Willie entrò. Subito palla a lui, schiena a canestro, sfera gestita con una sola mano, finta a destra, Johnson abbocca, Sojourner si gira dall’altro lato, gancio, due punti. Va in attacco Siena. Palla a Bovone che tenta l’uno contro uno: serie di finte e palleggi, Willie non si scompone. Tiro, stoppata di Sojourner, palla alle stelle. La Brina torna in attacco. Palla a Willie, sfera sempre tenuta con una sola mano – poverino, l’altra è fasciata - serie di finte. Johnson abbocca, Sojourner entra in area e piazza una schiacciata che fa tremare il palazzo. Willie andò avanti così per tutta la partita segnando 43 punti, aggiungendo magici assist e vagoni di rimbalzi. Intanto Di Fazi, incredulo, dava gomitate ad Aldo Faraglia col quale se la rideva come un bambino.
A fine incontro nessuno, senesi compresi, credeva ai propri occhi. Pentassuglia voleva subito firmare Sojourner, Di Fazi avvisò Milardi che diede l’ok. Fu informato Percudani. Intanto si cominciò a parlare con Willie per capire quanto volesse e lui rispose: «Non posso firmare».
Tutti pensavano: «Il solito gioco al rialzo. Oppure vuole aspettare i professionisti» non sapendo che per lui quello era un capitolo ormai chiuso.
Di Fazi insistè: «Perché non puoi firmare?».
E Sojourner, serafico e sorridente, come avremmo imparato a conoscerlo nei sette anni successivi, rispose: «Ho la mano fasciata, non posso scrivere: io sono mancino!».
Era nata una delle più grandi leggende del basket italiano: la sorte aveva catapultato a Rieti un vero e proprio deus ex machina. Infatti, nonostante dirigenti straordinari e appassionati, solida tradizione societaria e massiccia presenza di tifosi, non sarebbe stato sufficiente a completare il Sebastiani Dream senza l’arrivo di un campione straordinario come Willard Leon Sojourner il quale rappresentò la vera e definitiva svolta per la Sebastiani.

IL MITO

La presenza di un grande centro eliminava qualsiasi lacuna sotto canestro e portava all’interno della squadra una saggezza tattica che fino ad allora non aveva mai toccato certi vertici. Tutti ne trassero beneficio: l’allenatore aveva in campo un suo ascoltatissimo alter ego. I giocatori avevano un punto di riferimento ben preciso. Grazie a lui tutti quanti sapevano di poter prendere qualche rischio in più in difesa perché, anche se l’avversario sfuggiva, c’era Zio Wllie a presidiare l’area, pronto a mollare una stoppata che induceva il malcapitato ripensarci prima di avventurarsi di nuovo sotto canestro. Non per nulla, a ben 26 anni dal suo ritiro, Sojourner è ancora tra i primi 25 rimbalzisti del campionato e, soprattutto, è ancora il 4° stoppatore del campionato italiano (con sole 7 stagioni all’attivo!) dietro a Dean Garrett (6 campionati), Ario Costa (23 campionati) e Dan Gay (23).
Sojourner fu soprannominato Zio Willie perché non lesinava mai consigli o aiuti a nessuno ed era una vera e propria sicurezza. Il suo obiettivo era sempre e solo la vittoria, quindi non soffriva di gelosie verso i compagni. Non inseguì mai la classifica dei cannonieri e negli anni a venire, con due americani in campo, quasi sempre fu il secondo straniero quello a segnare di più.
Solo una volta sola, in un torneo a Cava dei Tirreni, Sojourner non passò più la palla a nessuno perché Pasquetti gli aveva detto che il miglior realizzatore sarebbe stato premiato con un Rolex d’oro. Però, la mattina successiva, al ricevimento in Comune su invito del Sindaco di Cava per la consegna del premio, Willie sparì. Dov’era? Improvvisamente si sentirono degli applausi in una sala attigua, dove era in corso un matrimonio: Willie era lì, a farsi fotografare mentre baciava la sposa. Gli piaceva quell’orologio e fece di tutto per vincerlo, ma questo episodio dimostra che Sojourner non era attaccato al denaro. Infatti, a Rieti non sollevò mai il minimo problema economico e fu l’unico americano a non avere un contratto scritto. Tutto sulla parola. Questo aspetto rende già l’idea dell’unicità del personaggio.
Tornando al gioco, un capitolo a parte erano le schiacciate. Rieti veniva da tre stagioni con Bob Lauriski: bravo giocatore, buon tiratore ma atleta normale e poco appariscente. Willie invece fu tra i primissimi a deliziare l’Italia col gesto tra i più spettacolari in assoluto di tutti gli sport e che nella delle schiacciate NBA è ormai assurto a vera e propria arte. Sojourner fu tra i primi artisti in Italia dell’affondata a canestro, grazie anche alle smisurate mani con cui gestiva il pallone come farebbe un uomo qualsiasi con una palla da tennis. Ma Sojourner spiegò: «Vedi le mie mani? – diceva, mostrando i suoi badili – quelle di Julius sono così» e ci aggiungeva altri 3-4 centimetri.
Quando Willie prendeva la palla con una mano sola mentre i compagni si smarcavano lui decideva, dopo aver sistematicamente mandato a farfalle il difensore, se sparare un assist da favola o concludere col suo magistrale e immarcabile gancio ambidestro che negli Stati Uniti gli valse il soprannome di “Rainbow So”: dove ”rainbow” sta per arcobaleno, sia per la parabola che per la plasticità dell’esecuzione, mentre “So” era l’abbreviazione di Sojourner.
«I primi tempi presi da lui un sacco di pallonate in faccia – spiega Roberto Brunamonti - perché faceva dei passaggi incredibili e inaspettati. Col tempo ci abituammo e imparammo a capirlo. Avrebbe fatto segnare anche un somaro».
E fin qui abbiamo solo parlato di tecnica ma Zio Willie si rivelò pure un grande campione di umanità e simpatia anche fuori dal campo, tanto da poterlo senza dubbio considerare il Magic Johnson di Rieti.

WILLIE NO PARTE

Alla vigilia dei playoff del 1978 (stagione Althea) una domenica mattina improvvisamente si sparse in città la voce che Willie Sojourner voleva piantare baracca e burattini e che stava già facendo le valigie. Italo Di Fazi telefonò agli amici giornalisti: «Vedete di fare qualcosa» implorò. Nel frattempo il passaparola sulla fuga di Willie aveva fatto il giro della città e quella mattina sotto la sua casa si svolse una vera e propria dimostrazione da parte di alcune centinaia di tifosi.
Il primo ad arrivare a casa Sojourner fu Adolfo Marisi, che entrò dal garage.
«Come mai sei qua?» gli domandò Willie.
Adolfo rispose candidamente: «Sono venuto a salutarti, so che vai via, ma sarà un po’ difficile». Ma lo Zio era sorpreso, sembrava non capire.
«Prova a guardare di fuori» gli suggerì il compagno di squadra e Willie rimase sbigottito. Il giardino era stato invaso da oltre un centinaio di tifosi, e il numero aumentava di minuto in minuto.
Sojourner malvolentieri ammise in casa alcuni giornalisti e la telecamera di Tele Radio Sabina 2000 portata a spalla da Alberto Olivo, ma non parlava. Sua moglie, la signora Jean, era affaccendata con alcune valigie. Ad un certo punto squillò il telefono e Willie ebbe uno dei suoi rarissimi scatti d’ira.
«Basta telefono – bofonchiò nel tipico slang tra reatino e americano – rovina famiglie». «Erano arrivate un paio di spiacevoli telefonate anonime a mia moglie – spiegò poi – per cui avevo seriamente pensato di piantare tutto. Non l’ho certo fatto per far venire a casa mia i tifosi o voi con la telecamera». Poi riprese il suo self control e la parlata tra il serio e il faceto che non lasciava mai capire la verità.
Comunque, la faccenda finì lì. Willie, neanche fosse stato un papa, si affacciò alla finestra e rassicurò i tifosi, i quali già adoravano il personaggio oltre al grande campione: sarebbe rimasto e così, mentre l’amministratore del condominio protestava perché i supporters avevano calpestato il giardino in piena fioritura, annunciò: «Willie no parte».
Una frase che nel corso degli anni, nell’immaginario degli sportivi reatini, cambiò più volte significato. Dal 1982 in poi quella frase fu motivo di rimpianto perché Sojourner se ne era andato via, eccome, portando con se anche i sogni di gloria della Sebastiani. Quel Willie no parte aveva assunto il sapore del rimpianto per un’epoca di successi che nessuno pensava più di poter rivivere.
Poi, una volta saputo che lo Zio, dopo essersela passava piuttosto male in patria, stava per tornare a Rieti quel Willie no parte risuonò come le classiche ultime famose parole. Un po’ come: mai dire mai. Sojourner, infatti, dopo essere partito, stava tornando nel luogo che più lo aveva amato sulla faccia della terra e tutti erano convinti che stavolta non se ne sarebbe mai più andato.

IL PRIMO ADDIO

Nel 1982 l’ansia di nuovo mista agli ultimi deludenti risultati, fece ritenere che fosse pure tramontata l’era Sojourner, arrivato a 34 primavere, ritenuto ormai logoro e bolso, per cui venne scaricato come fosse un sacco ormai vuoto. Così, contro il parere di Milardi e Di Fazi, terminò la vicenda tecnica e umana di Willard Leon Sojourner, personaggio unico in campo e fuori, di professione pivot, padre di tre figli avuti con la signora Jean, bianca, legato a Rieti da un amore ben ricambiato da sembrare imperituro.
Dalla presenza di Sojourner trassero beneficio tutti. Da Zampolini a Blasetti passando per Danzi, che trovarono spazi incredibili per le conclusioni sotto misura, a Brunamonti e Sanesi che sapevano sempre a chi dare la palla e come riceverla di ritorno. A Cerioni che poteva difendere duramente sapendo di avere le spalle protette mentre in attacco poteva tirare dietro a blocchi monumentali.
«Giocare vicino a Sojourner – ricordano Brunamonti e Zampolini – durante la nostra maturazione tecnica ci aiutò tantissimo. Chissà se avremmo raggiunto gli stessi successi se avessimo avuto un altro straniero vicino a noi in quel periodo? Gli insegnamenti di Willie furono insostituibili».
Giocatore lealissimo, Sojourner difficilmente reagiva ad un fallo avversario ma sapeva farsi rispettare e ci teneva a mettere in scacco i più rinomati pivot che contro di lui non presero mai palla. Una volta, prima di una partita a Venezia, gli mostrarono una copia dei Giganti del Basket dove si inneggiava al pivot dei lagunari (2.10) titolando “David Suttle stoppa tutti”. Per Willie fu una vera e propria sfida personale. E così a metà della ripresa il povero Suttle si era già beccato 5 stoppate. Quindi, passando davanti alla panchina veneziana, Sojourner ghignando chiese: «Chi è quello che stoppa tutti?».
A Torino militava Randy Denton un centro con cui Sojourner aveva da tempo un conto in sospeso poiché lo reputava non solo più debole ma era anche convinto che avesse giocato nell’NBA, dove Willie non mise mai piede, solo perché era bianco. Il sabato prima del match, Di Fazi invitò alcuni amici: «Domani Sojourner massacra Denton. Chi viene con me in aereo?». Lo seguirono in tre: giusto il tempo di vedere lo Zio distruggere Denton e condurre la Sebastiani alla vittoria, per poi essere di ritorno a Rieti a mezzanotte.
Il suo carisma e la sua classe erano inimitabili: tutti lo rispettavano. Ma quando decideva di fare sul serio c’era poco da scherzare con lui che, però, sapeva sdrammatizzare le situazioni più complesse con un semplice sorriso. Per questo era amato e rispettato anche fuori da Rieti. Una volta, durante una infuocatissima partita a Pesaro, una discutibile decisione arbitrale fece scoppiare un putiferio. Arbitri, giocatori e allenatori discutevano animatamente mentre i tifosi marchigiani inveivano a più non posso. Willie invece, in attesa che riprendesse il gioco, si appoggiò tranquillamente a una balaustra mettendosi a discutere amabilmente proprio con i tifosi di Pesaro nel parterre: tutto intorno era una bolgia infernale ma lì dove c’era Sojourner si rideva e scherzava. Qualcuno gli offrì anche un chewing-gum.
La vittoria era il suo obiettivo, non gli interessava la sua prestazione ma il risultato finale. Una volta, dopo una sconfitta, dei ragazzini lo circondarono chiedendo un autografo: «Io NON sono Willie, vi sbagliate» disse loro allontanandosi cupo in volto.
In Italia sono arrivati ovviamente giocatori di maggior talento (ad esempio Spencer Haywood, Joe Barry Carroll, Mike Mitchell, Bob Mc Adoo ed altri), ma se Sojourner è stato di poco inferiore a loro, forse è anche dipeso dal fatto che gli mancò il palcoscenico delle grandi piazze. Del resto, all’epoca una singolare regola imponeva un anno lontano dall’Italia agli stranieri che volevano passare da un club a un altro. Ma Sojourner, restio a lasciare l’Italia per un anno, rimase a Rieti assai volentieri e a lungo, non solo grazie alla classe smisurata ma anche alla immensa simpatia, integrandosi così bene da impararne anche il dialetto. Un giorno, in via Cintia, un pedone che rischiò di essere investito da un’auto sentì dire alle spalle in un improponibile dialetto: «Attento a ddo metti i péi». Era Willie!
Insomma, grande classe, ma anche grandissime doti umane, comunicativa e capacità di adattamento: non il solito musone che si mette la cuffia dell’I-Pod alle orecchie appena uscito dallo spogliatoio, che non si sforza di imparare l’italiano, che si lamenta se non trova cose come la birra alla liquirizia o se non può mangiare da Mc Donald’s.
A Bologna lo Zio giocò sempre bene e una volta, uscito per cinque falli, lasciò il campo accompagnato da una interminabile standing ovation. Cosa raramente ripetutasi al Paladozza.
Sojourner venne in Italia per lavorare, ma anche alla ricerca di un basket diverso, meno ossessivo di quello dei professionisti statunitensi, dove si affrontano tre partite a settimana con continui, lunghissimi trasferimenti. In confronto, gli allenamenti giornalieri al palasport erano roba da ridere: si guadagnava abbastanza e c’era più tempo per divertirsi di giorno e, soprattutto, di notte.
«Willie è stato in Italia sette anni – osserva Brunamonti – ma dato il suo stile di vita è come se ne avesse vissuti quattordici. Aveva un fisico eccezionale e una tecnica mostruosa. Con un po’ più morigeratezza avrebbe allungato di molto la carriera. Ma non sarebbe stato più quel leggendario personaggio che fu in campo e fuori. Lui era così e basta».
Agli allenamenti giungeva puntualmente in ritardo, ma Pentassuglia e Di Fazi non ci badavano. In allenamento indossava una tuta blu, impermeabilizzata che, facendolo sudare, gli permetteva di espellere l’alcool incamerato fino al mercoledì. A fine allenamento Willie, sfilata la parte superiore della tuta, si toglieva la maglietta, la strizzava e, sistematicamente, faceva piovere sul parquet un litro di sudore. Un rituale che i tifosi aspettavano e seguivano con ammirazione e invidia. Dal giovedì al sabato però Willie era un’atleta modello: «In trasferta – ricorda Berton – a cena mangiava un po’ di insalata col tonno e basta». Ma dalla domenica sera in poi era tutta un’altra cosa.
A Tel Aviv dopo un incontro di Korac, Earl Williams e Aulcie Perry, i due stranieri del Maccabi, aspettarono Sojourner a fine gara. Si aggregò anche Johnson. I quattro salutarono e sparirono. Un taxi scaricò Willie e Lee ubriachi fradici la mattina dopo direttamente all’aeroporto. «Non ci importava nulla di ciò che faceva fuori dal campo – sentenziava Di Fazi – l’importante è che la domenica giocasse una grande partita». E su questo ci si poteva scommettere sempre.
Simpatico e giocherellone, Sojourner aveva un vero e proprio debole per il gentil sesso. Era stato dotato da madre natura di una vitalità esuberante che gli consentiva prestazioni alla John Holmes e sulla quale realtà e leggenda si mescolavano di continuo. Una volta, a Varese, la nonna di Cerioni venne a vedere la partita ma, per qualche motivo, il suo accredito non si trovava. Mentre l'anziana signora era in attesa del nipote passò Willie che, una volta informato del problema, prese in braccio la nonnina andò all'ingresso e disse: "Questa mia fidanzata!". Nessuno fece obiezioni. 
Willie sapeva anche prendersi in giro con autoironia: «Era comico – ricorda Pasqualino Berton – quando aveva un appuntamento e non voleva farsi riconoscere…si metteva gli occhiali da sole!».
«Quando Sojourner guidava – ricorda Attilio Pasquetti – era un pericolo pubblico. Non guardava mai avanti perché stava sempre attento a osservare qualche bella ragazza. Fu così che una volta tamponò davanti al bar Crosby la BMW di Dominici, medico della società».
La bionda signora Jean, sua consorte era rassegnata al fatto che, una volta tornati negli USA a fine campionato, il marito sparisse per 2 o 3 mesi. Inutile cercare di sapere dove andasse e cosa facesse. Willie era capace di riapparire solo alla vigilia del ritorno in Italia. Infatti uno dei più grossi problemi per Di Fazi era farlo rintracciare dalla povera moglie per comunicargli la data dell’inizio del precampionato.
Zio Willie era un habitué dei night club di Roma dove si recava spesso a volentieri. Non lasciava nulla di quello che gli altri pagavano, ma a lui veniva spesso regalato. Ma più spesso ad offrire era proprio Sojourner, che aveva un cuore grande come una casa ed anche per questo non è tornato in patria con le tasche piene. Quante volte, pur di non farlo andare a Roma a gozzovigliare fino all’alba, Romualdo Pitotti, titolare del ristorante Primavera a Porta d’Arce, lo tratteneva con gli amici a giocare a poker fino alle 3 di notte.
Storiche le interminabili partite in autobus, durante le lunghe trasferte, con Pentassuglia, il cognato Gianfranco Sanesi e l’inseparabile Alferio Vicari, detto lo Sceriffo, che aveva il privilegio di un posto fisso nel pullman della squadra. A loro si aggiungevano a turno Marisi, Cerioni o qualche altro malcapitato nei lunghi viaggi attraverso Italia ed Europa. Tra questi il più simpatico fu Lee Johnson che, quando perdeva un piatto o quando un suo puerile bluff veniva smascherato, esclamava ridendo «Io chicken» (pollo) e con i gomiti piegati all’indietro fingeva di sbattere le ali. Ovviamente pure con le carte Willie aveva classe. E anche… qualcos’altro. Fu così che affrontò un’unica lunga smazzata durata sei anni. Non avrebbe smesso mai di giocare, voleva sempre fare un’ultimissima mano e allora non c’era che una soluzione per farlo smettere: «Dalle parti delle Marmore – spiega Brunamonti – ci dovrebbe essere una pianta di carte da poker per quanti mazzi sono volati dal finestrino alla fine delle trasferte».
Un’altra testimonianza dell’affetto per lui fu la coniazione da parte del gioielliere Giancarlo Passi di 50 medaglie di bronzo con l’effigie di Sojourner che andarono ovviamente a ruba. Per la cronaca il prezzo era di 15mila lire.
Sojourner è stato una fonte di aneddoti anche a fine carriera. Durante l’estate dell’82 Willie fu visto arrancare per via Roma in bicicletta e fermarsi davanti ad un negozio che vendeva macchine da maglieria. Proveniva dalla capitale, dove abitava in seguito al trasferimento all’Italcable, club romano che però disputava le gare ufficiali a Perugia. Zio Willie non aveva avuto problemi a inforcare le due ruote, pedalare per 80 chilometri, di cui molti in salita, per andare farsi spiegare a Rieti come finire il lavoro a maglia che aveva iniziato. Infatti, uno dei suoi hobbies era proprio quello di fare berretti di lana da regalare agli amici. La giornata finì poi alle Quattro Stagioni dove Willie bevve sei bottiglie di Pinot mentre la bicicletta tornò a Roma nell’auto di un amico.
Un’altra volta, nel 1992, la Sebastiani, sprofondata in B2, guidata in panchina da Gianfranco Sanesi, richiamò Sojourner a Rieti per un paio di mesi. L’idea era di fargli allenare le giovanili, ma non se ne fece niente. Per gli spostamenti personali fu consegnato a Willie uno spompato Ford Transit diesel. Subito dopo le partite, in casa o fuori, spesso si giocava in trasferta di sabato, Sojourner spariva dalla circolazione per ricomparire puntualmente all’allenamento del martedì. Impossibile sapere dove andasse. Alcuni mesi dopo la sua partenza da Rieti, arrivò nella sede della Sebastiani una multa per sosta vietata intestata al Ford Transit. Fin qui nulla di strano. Il fatto è che quella multa era stata contestata a Torino!
Apparentemente Sojourner sembrava non prendere mai sul serio le cose. In realtà si era costruita una corazza con cui nascondere i suoi sentimenti. Non sempre gli riusciva, come quella volta a Cantù, quando gli comunicarono la morte del fratello maggiore Paul al quale era attaccatissimo. Non fu possibile consolarlo e calmarlo: dopo aver letteralmente distrutto la stanza d’albergo, Willie scese al bar dove, una per una, spaccò dieci bottiglie poi, mentre arrivava la polizia, uscì in strada. Con un pugno ammaccò la cappotta di un’auto e sparì. Riapparve solo la mattina dopo, sul tardi. Come giocò? Benissimo ovviamente.
Durante sei stagioni con la Sebastiani Sojourner non saltò mai una partita. Negli ultimi tempi giocò con gravi acciacchi alla schiena, ma non disse mai una parola né fece mai un lamento. Un esempio più unico che raro di attaccamento al proprio lavoro.
Uno degli ultimi ricordi di Sojourner a Rieti risale alla notte dei festeggiamenti per il mondiale vinto dalla nazionale di calcio in Spagna nell’82. Anche Willie era in viale Maraini a festeggiare con una bandierina dell’Italia in mano. Però, chissà perché, continuava a ripetere «Vive la France». Al termine di quella lunga nottata confessò a un amico: «Fino ad oggi ho vissuto grazie al mio fisico, adesso debbo farlo grazie alla testa».
Solo tanti anni dopo Rieti scoprì che non c’era riuscito. Dopo la breve reentreé a Rieti del 1992, quando l’accoglienza a Willie fu abbastanza tiepida, anche perché l’interesse per il basket era in calo a causa dei risultati negative della Sebastiani, una volta tornato negli USA di Willie si persero quasi del tutto le tracce. Ma quando, dopo il 2000, la passione per il basket tornò a crescere, in tanti iniziarono a chiedersi come se la stesse passando Zio Willie, dove fosse e come sarebbe stato bello rivederlo ancora.

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"IL GANCIO"
1976/77 LA SQUADRA
1977/78 LA SQUADRA
1978/79 LA SQUADRA
1979/80 LA SQUADRA
1980/81 LA SQUADRA
1981/82 LA SQUADRA
ANCORA MILANO
ATTENTI A QUESTI CINQUE
BELGRADO – LA PARTITA 2
BELGRADO – LA PARTITA 3
BELGRADO – LA PARTITA 5
BELGRADO PRIMA DELLA FINALE - RICEVIMENTO IN MUNICIPIO 1
BELGRADO PRIMA DELLA FINALE – RICEVIMENTO IN MUNICIPIO 4
BELGRADO PRIMA DELLA FINALE – RICEVIMENTO IN MUNICIPIO 5
COMINCIA LO SPETTACOLO
CONTRO MILANO
CONTRO VARESE
FIGURINA
GANCIO DESTRO
GANCIO SINISTRO...
I DUE AMICI
IL CADETTO DI WEST POINT
IL CAMMINO VERSO LIEGI: RIETI - JUGOPLASTIKA SPALATO (SEMIFINALE) 2
IL VECCHIO E IL NUOVO PIVOT
IL VETERANO DELLA BRINA
INARRESTABILE
INTERVISTA
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LA PRIMA SEMIFINALE SCUDETTO 3
LIEGI: IL RITORNO 1
NON SOLO GANCIO
ROD GRIFFIN
SEBASTIANI DREAM
SECONDA SEMIFINALE SCUDETTO CONSECUTIVA 3
SECONDA SEMIFINALE SCUDETTO CONSECUTIVA 4
SECONDA SEMIFINALE SCUDETTO CONSECUTIVA 5
SECONDA SEMIFINALE SCUDETTO CONSECUTIVA 6
SECONDA SEMIFINALE SCUDETTO CONSECUTIVA 7
SOJOURNER E GALLINARI
WILLIE DOMINA
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