Il Belgio è una nazione che porta bene a Rieti. Da lì, infatti, sono arrivati Tony Zeno, Dan Gay e, una volta tornati in serie A, è toccato prima a Morris Finley e poi a Jerry Green. Chissà da cosa dipende? Non lo sapremo mai.
In ogni caso, quando questo tappetto di 1.80 con le treccine rasta arrivò alla Nuova Sebastiani nel 2007, parecchi storsero il naso sia per la taglia fisica – primo errore perché la storia del basket è piena di nanetti, nel senso buono del termine, che poi hanno fatto faville – che per la provenienza dal Belgio, sinonimo di un pedigree di basso livello.
Invece, partita dopo partita il buon Morris, prese in mano le redini di una Solsonica decisa a restare in serie A, nonostante sulla società si addensassero nubi che avrebbero minacciato la serenità della squadra. Lo stesso Finley, all’inizio del girone di ritorno, fu tentato di mollare, facendo anche un salto di qualità per approdare in Eurolega, in Turchia, alll'Efes Pilsen, assicurandosi anche un po’ di tranquillità economica. Alla fine però Lino Lardo, Alessandro Giuliani e qualche autorevole compagno di squadra convinsero l’inafferrabile playmaker dell’Alabama a restare.
Un sacrificio che sarebbe stato ripagato benissimo, prima con lo scudetto conquistato a Siena l’anno successivo e, poi, continuando a monetizzare la splendida stagione a Rieti col trasferimento a Milano.
Prima di Finley, la Rieti del basket aveva celebrato soltanto pivot e ali provenienti dagli Stati Uniti come Sojourner, Johnson, Bryant o Gay. Una volta tornata in A è iniziata la serie dei piccoli, inaugurata con la guardia David Hawkins e proseguita con i due playmaker Morris Finley e Jerry Green. Chissà se, prima o poi, si potrà continuare ad aggiungere altri campioni d'oltre oceano?