Nell’estate del 1979, dato l’addio a Cliff Meely, ed anche a Domenico Zampolini, ancora una volta in soccorso della Sebastiani arrivò il buon Richard Percudani. Complice anche la conferma di un pizzaiolo italoamericano appassionato-esperto di basket che lavorava a Houston, da cui spesso si recava a mangiare il presidente Milardi durante i suoi soggiorni di lavoro in Texas, venne ribadito che la segnalazione di Percudani era, ancora una volta, quella buona. Questo particolare del pizzaiolo, al giorno d’oggi, nell’era di internet e dei satelliti, vi farà sicuramente sorridere ma 30 anni fa si sapeva ben poco di quello che accadeva oltre oceano per cui, come suol dirsi, tutto faceva brodo.
Arrivò così a Rieti Lee Johnson: un grissino di 2.10, 1^ scelta degli Houston Rockets, da East Texas State University. Un vero colpo per l’Italia. Tecnicamente Johnson era molto grezzo e per questo i Rockets pensavano che non fosse ancora maturo per l’NBA anche se aveva un’elevazione raramente vista in Italia. Per fare un paragone con la storia recente: Pape Sow, rispetto a Lee Johnson è quasi incollato a terra.
Per via della magrezza, combinata alla straordinaria elevazione, qualcuno disse che Lee sembrava una cavalletta per cui fu soprannominato la cavalletta nera. Altri, invece, dal momento che veniva da Houston, sede della NASA, più brutalmente sostenevano che avesse un razzo nascosto nel sedere.
Uno degli hobby preferiti di Johnson era quello di andare a recuperare i biglietti da 10 dollari (in Italia diventarono 10.000 lire) appoggiati sul bordo superiore del tabellone di cristallo del canestro. Cioè a 3 metri e 75 da terra! Naturalmente chi metteva lassù la banconota doveva usare una scala. A Lee invece bastava spiccare un salto e i soldi erano suoi. Senza contare quanti accidenti gli mandò Lino, il custode del Palaloniano, quando ogni tanto doveva sostituire i tabelloni di cristallo distrutti dalle schiacciate di Johnson (anche due durante lo stesso allenamento!) con grande gioia di Sojourner.
«Qualche volta Willie era stanco – ricorda Pino Danzi - i ritmi della Korac erano stressanti e allora cominciava a dare la palla a Lee dicendogli ‘Schiaccia! Schiaccia!’ E Johnson ubbidiva. Quando si spaccava il tabellone, Willie ridendo diceva: ‘E adesso? Non possiamo più allenarci’».
Dunque, tecnica sufficiente, un tiro da fuori non bello a vedersi ma precisissimo ed elevazione da alieno: questo era Lee Johnson. Il coach Elio Pentassuglia però storse la bocca. Aveva dei dubbi su quel grissino nero proveniente da una umilissima famiglia dell’Arkansas che, a vederlo così trasandato, non lo convinceva nemmeno come persona, per cui andò da Di Fazi a dirgli: «Italo, tagliamo Johnson».
Per tutta risposta il Gm, che non solo aveva intuito le potenzialità di Lee ma aveva pure compreso che, malgrado le apparenze, era pure un bravo ragazzo, gli rispose a muso duro: «Caso mai te ne vai tu».
Elio ingoiò il rospo e si tenne Johnson anche perché, poco dopo, in un’amichevole a Roma segnò ben 50 punti. Pentassuglia però, inspiegabilmente, non avrebbe mai amato Lee.
Si trattò comunque di un’ottima scelta. Infatti, grazie alla presenza di un intimidatore del genere vicino a Sojourner, lo scaltro Danzi, chiamato a rimpiazzare Zampolini, poteva godere di una maggiore libertà e seppe approfittare di questo grande vantaggio. Così, in un colpo solo, svanirono i fantasmi di Meely e Zampolini.
Il rendimento in campionato di Johnson fu impressionante: memorabile la partita di regular season contro la Sinudyne Bologna di Kresimir Cosic e Jim McMillian che fu umiliata a Rieti per 96-77. Nel primo tempo Johnson stoppò tutti, catturò rimbalzi, segno da fuori, piazzò schiacciate paurose e, dulcis in fundo, realizzò un canestro da metà campo sulla sirena del primo tempo. Per lui, all’intervallo erano già 30 punti. Chiuse con 40 e Bologna fu messa in ginocchio.
Ma il capolavoro di Johnson fu la finale di Coppa Korac vinta Liegi sul Cibona Zagabria in cui, segnando 28 punti, tenne a lungo l’Arrigoni in partita prima del definitivo rush conclusivo.
Lasciata l’Italia a fine stagione, Johnson tentò la carta della NBA ma senza successo: troppo leggero per giocare sotto canestro e troppo grezzo tecnicamente per allontanarsene. Allora tornò in Europa, al Maccabi Tel Aviv, col quale vinse la Coppa dei Campioni oltre a ingaggiare furibonde battaglie sotto canestro contro le squadra italiane. Dopodichè tornò in Italia (Livorno e Napoli) e poi chiuse la carriera ad Antibes, dove vive tuttora, dopo aver ricoperto anche il ruolo di general manager del club, mentre oggi fa il procuratore di giocatori.