Gianfranco Lombardi, Livornese, nato nel 1941, passato presto alla Virtus Bologna, a 16 anni era considerato l’astro nascente della pallacanestro italiana, che cominciava a diventare basket. Nello Paratore lo chiamò in Nazionale, di cui diventò il perno.
Alle Olimpiadi di Roma del 1960, grazie a Lombardi, l’Italia tenne in scacco per un tempo gli Stati Uniti di Jerry West, Oscar Robertson, Jerry Lucas e Walt Bellamy. Con la nazionale disputò 3 olimpiadi, 2 mondiali e 2 europei. Grazie a una tecnica da manuale, a un tiro micidiale e alle sue entrate portò la Virtus Bologna vicina al titolo italiano e vinse la classifica marcatori nel 1964 e nel 1967. Il suo grande rivale era Paolo Vittori, capocannoniere nel 1961 e nel 1965, col quale instaurò una rivalità che sarebbe proseguita anche in nazionale. A tale proposito resta famosa una partita dell’Italia in cui Paolino e Dado (dalla pubblicità del dado da brodo prodotto dalla Lombardi) nel primo tempo non passarono la palla a nessuno. Quello che prendeva il pallone per primo tirava. All’intervallo, i due rivali avevano accumulato una quarantina di punti lasciando le briciole agli altri. Una volta negli spogliatoi Sauro Bufalini, toscanaccio purosangue, andò davanti a loro e disse freddamente: «Piacere, Bufalini, Italia, numero 6, gioco con voi». La storia sportiva di Lombardi incrociò quella di Rieti nel 1972. Due anni prima la Virtus lo aveva ceduto ai rivali della Fortitudo e in quell’estate Dado stava decidendo se ritirarsi o meno e abbracciare la carriera di allenatore.
Il presidente della Sebastiani era Renato Milardi, un personaggio che aveva a cuore Rieti e che era stanco che la targa RI fosse continuamente confusa con Rimini. Una volta ottenuta, sempre nel 1972, la promozione in serie B, e dopo aver portato in dote lo sponsor Brina Surgelati - che andava a sostituire quello della Snia, un nome storico della realtà civile, sociale e industriale di Rieti – Milardi, per dare corpo alle sue grandi aspettative nei confronti della città e della sua squadra più rappresentativa, raggiunse Gianfranco Lombardi tramite un personaggio che non aveva nulla a che fare con la pallacanestro. L’ex fuoriclasse della Virtus Bologna non sapeva nemmeno dove fosse esattamente Rieti, ma quando Milardi andò a Bologna a spiegargli i suoi grandi progetti Dado ne rimase affascinato malgrado gli sembrasse un’impresa non facile creare qualcosa di grande in una piccola città senza particolari tradizioni nel basket ad alto livello. Lombardi ne parlò con la moglie, con cui partì per la sabina.
Un viaggio assai lungo nel 1972. Al bivio Greccio-Marmore ovviamente Lombardi voltò per Marmore. Panorama stupendo ma strada difficilissima. Motivo per nutrire qualche perplessità in più. Ma poi arrivò in questa piccola città dove conobbe Italo Di Fazi, che ne conosceva il valore e le imprese e che immediatamente cominciò a lavorarlo ai fianchi. Italo, infatti, non lo voleva solo come allenatore: «Tu devi giocare ancora» gli diceva. Ma il Dado, che aveva disputato ancora una bella stagione in serie A classificandosi terzo tra i marcatori italiani, gli rispondeva: «Se devo giocare, lo faccio ancora in serie A». Ma Italo era come la goccia che scava la pietra. Lo portava al palazzetto, gli passava la palla e poi si metteva a rimbalzo e gliela ridava ogni volta. Insomma, per farla breve, gli fece ritornare la voglia di giocare e lo convinse.
Lombardi, fortissimo in campo quanto simpatico fuori, non faticò a trovare amici che non lesinarono mai il loro sostegno sia nella buona che nella cattiva sorte. La tifoseria fu subito dalla sua parte anche perché Gianfranco dava spazio alle pubbliche relazioni, incontrando la gente soprattutto al Bar Crosby di Porta Cintia, la bandiera della Sebastiani esposta all’esterno per anni, e che diventò uno dei punti di raccolta più frequentati dai tifosi, con i quali Lombardi studiava strategie e cori per gli ultras delle curve. Insomma, classe cristallina, grande intelligenza, eccellente public relation man di sé stesso: era l’uomo giusto al posto giusto. La garanzia di solidità economica, grazie all’abbinamento con la Brina, l’impegno personale del presidente Milardi, la stretta collaborazione tra questi, Di Fazi e gli altri dirigenti fecero scattare la scintilla: nacque così la squadra di vertice che nel breve volgere di un lustro avrebbe ottenuto successi inimmaginabili, sconvolgendo le abitudini sportive di Rieti al punto da portare modifiche al costume e alle mode.
Per anni infatti la domenica, per centinaia di famiglie, l'appuntamento sarebbe stato uno solo: la partita della Brina (poi dell’Althea, dell’Arrigoni e via dicendo). Per anni si sarebbe visto un cesto in ogni cortile ed i ragazzi reatini avrebbero fatto carte false per imitare quei grandi campioni che settimanalmente giostravano indossando la maglia con i colori della loro città.
L’impatto di Lombardi come giocatore per Rieti fu devastante. Negli anni ’70 ogni tanto si vedeva in televisione qualche partita dell’Ignis Varese o del Simmethal Milano, mentre a Roma, come nel resto del centro Italia, il basket di serie A latitava da anni per cui a nessuno veniva in mente, con le strade e le auto dell’epoca, di andare a vedere una partita a Pesaro, o a Napoli, ad esempio. Insomma, pur avendo visto a Rieti qualche buon giocatore, ben pochi avevano ammirato dal vivo un vero fuoriclasse e Lombardi, nonostante il fisico un po’ appesantito, lo era davvero. In serie B era capace di segnare 20-25 punti in un tempo e di ammazzare qualsiasi giocatore e la partita. Poi tornava in panchina e amministrava la gara. Senza contare altri tipi di astuzie.
Incredibile la settimana precedente al primo scontro della poule promozione in serie A, a Rieti, contro la Splugen Gorizia. Nelle precedenti interviste il coach della Splugen, Jim Mc Gregor, ammonì: «Siamo forti, il freddo carsico ci ha temprati a dovere. Siamo dei duri, ci siamo allenati anche all’aperto per raccogliere più energie». Allora Dado Lombardi propose a Italo Di Fazi di giocare la partita con il riscaldamento acceso (era fine maggio!!!) e di fare un paio di allenamenti allo scopo di abituare la squadra. Italo fu subito d’accordo: «Accendiamo il riscaldamento al massimo per tutta la settimana, parlo io col custode». Era primavera, ma quella sera contro Gorizia sembrava di stare alle Hawaii. Dopo sei minuti i carsici boccheggiavano letteralmente mentre la Brina, temprata da una settimana di saune, era fresca come…un surgelato. Gli ospiti si sciolsero letteralmente e furono travolti. A fine gara alcuni goriziani dovettero andare a riossigenarsi cercando un po’ di fresco sull’argine del Velino.
Il Lombardi allenatore, invece, era la negazione del giocatore che fu. Quest’ultimo infatti si risparmiava sempre in difesa in attesa di scatenarsi in attacco. Invece, come allenatore, il Dado fu un teorico della difesa a oltranza e del gioco controllato. Memorabili le sfide contro il Sapori Siena, guidato da un altro teorico della difesa come Ezio Cardaioli, nelle quali nessuna delle due squadre raramente superava i 60 punti. Non a caso lo spareggio di Pesaro che spalancò a Rieti le porte della serie A terminò battendo Vigevano per 55 a 44.
Una volta in serie A, Lombardi smise di giocare e portò alla salvezza la Brina, pur costretta a disputare tutte le partite casalinghe a Roma al Palaeur. Nel secondo campionato, Le ambizioni legittimate dall’ingaggio di Massimo Masini, Mauro Cerioni e Arturo Guerrero (soltanto in coppa) culminarono con la semifinale di Coppa Korac persa contro il Barcellona.
Per Lombardi fu l’inizio di una carriera da allenatore ricca di soddisfazioni e protrattasi fino al 2001.