Nel 1974, ottenuta la salvezza nel primo campionato di serie A, data per scontata la riconferma di Lombardi in panchina, durante il mercato si fecero le cose in grande. Infatti, i dirigenti reatini si presentarono a Milano, presso la sede della gloriosa Olimpia, con una valigia che conteneva un pacco di bigliettoni da diecimila ben pigiati dentro, custodita dal segretario Aldo Faraglia il quale non la mollò un secondo finché non fu aperta davanti a un incredulo Cesare Rubini, appena diventato GM manager dell’Innocenti Milano. Con quel denaro il presidente Renato Milardi riuscì a strappare ai lombardi due pezzi da novanta: due stelle della nazionale che avevano calzato le mitiche scarpette rosse del Simmenthal. Campioni ritenuti vecchi dal club milanese, dove tirava aria di rinnovamento.
Il primo era Mauro Cerioni, tiratore e difensore micidiale, miglior giocatore del team italiano alle olimpiadi di Monaco ’72, il quale venne a rinforzare il settore esterni. Il secondo era Massimo Masini. Però, mentre quest’ultimo rimase a Rieti una sola stagione, il secondo divenne una vera e propria bandiera, oltre che il capitano della Sebastiani.
Essendo il giocatore più carico di successi e di gloria, Cerioni divenne il punto di riferimento per una eccezionale nidiata di giovani talenti, sui quali ebbe una fortissima influenza. Sanesi ha sicuramente imparato qualcosa da lui come difensore. Brunamonti ne ha attinto dosi di grinta e caparbietà, Zampolini ha imparato tanti trucchi del mestiere e l’abilità nel tiro da fuori. Insomma, un vero modello per tutti nonché un padre per i più giovani. Quasi sempre la l’avversario più pericoloso, non importa quanto fosse alto, toccava a Cerioni, così come la responsabilità del tiro della vita o della morte, con cui risolse tante situazioni ingarbugliate grazie a una sospensione in controtempo praticamente non stoppabile. Cosa avrebbe potuto fare il Rosso (per via della capigliatura) se fosse già esistito l’arco dei 6.25? Insomma, un vincente e un lottatore indomabile. Quando poi arrivarono Sojourner e Meely, la Sebastiani si ritrovò un’espertissima ala piccola di altissimo livello per il suo quintetto stellare.
Dove sarebbe arrivata nel 1978/79 l’Arrigoni se Cerioni non si fosse infortunato al ginocchio sinistro durante una partita contro l’Amaro Harrys Bologna? Si trattò infatti di un incidente che, in pratica, gli avrebbe troncato la carriera e su la quale forse può aver pesato l’accelerato e forzato rientro del capitano in un momento in cui la squadra stava andando abbastanza bene in campionato e in Coppa Korac, grazie anche alle buone prove di Sanesi e Olivieri. Fatto sta che Cerioni, ancora non recuperato al cento per cento, fu mandato in campo due volte nel giro di quattro giorni (in campionato a Roma e in coppa Korac) per infortunarsi di nuovo durante il riscaldamento della seconda partita. L’avventura a Rieti di Cerioni, ed anche la sua gloriosa carriera, si conclusero praticamente lì. Anche perché, nel 1979, l’ortopedia doveva ancora fare i passi da gigante registrati nei decenni successivi.
Certamente Cerioni avrebbe potuto dire la sua sia nella finale di Coppa Korac persa a Belgrado contro il Partizan, così come sarebbe stato un uomo in più da buttare in campo nella difficile semifinale scudetto contro la Sinudyne Bologna. Senza contare l’aiuto che avrebbe potuto dare ancora negli anni a venire. Ma purtroppo così va lo sport.
A fine stagione Cerioni lasciò Rieti e, una volta guarito, riapparve nella società madre, l’Olimpia Milano in cui era diventato un campione, guidata da Dan Peterson e Mike D’Antoni. Il suo ruolo avrebbe dovuto essere quello dello specialista che esce dalla panchina per spaccare le difese con qualche bordata per poi tornare a sedere. Purtroppo il ginocchio non teneva più a dovere e Mauro dovette abbandonare il basket giocato, a cui seguì una breve carriera da allenatore. Gli sportivi reatini che lo hanno visto giocare 5 splendide stagioni alla Sebastiani non dimenticheranno mai la sua grinta e il suo micidiale jump-shot.