Nel 1977-78 la federazione consentì alle squadre italiane di tesserare un secondo straniero. Per la Sebastiani, all’epoca in A2, sponsorizzata Althea, la scelta cadde su Cliff Meely. Già visto in Italia alle Universiadi di Torino nel 1970, ex 1^ scelta nel 1971 (numero 7 assoluto) dei San Diego Rockets, trasferitisi subito dopo a Houston, con i quali esordì in quella NBA in cui il ben più carismatico Sojourner non mise mai piede.
Per Meely le statistiche del 1971/72 furono quanto mai eloquenti: 5° realizzatore dei Rockets (9.9 a partita) dietro a califfi come il mitico Elvin Hayes, il piccolo playmaker Calvin Murphy e a Rudy Tomjanovich, divenuto poi coach campione NBA nonché allenatore di un paio di Dream Team olimpici. Cliff Meely, al suo primo anno da pro, totalizzò anche 7 rimbalzi e 1.3 stoppate a partita e la sua permanenza nell’NBA durò fino al 1975/76 quando, a causa di un infortunio a un ginocchio, disputò solo 34 delle 82 gare di regular season passando da Houston ai Los Angeles Lakers del leggendario Wilt Chamberlain. Purtroppo, in quegli anni l’ortopedia doveva ancora evolversi e per Meely ciò rappresentò l’addio al professionismo. Senza contare che nella pur ricca NBA non giravano i fiumi di dollari scorsi dagli anni ’90 in poi. Si guadagnava bene anche a quei tempi, ma i contratti milionari non erano molti. Una prova? Alla fine degli anni ‘70 il contratto minimo garantito NBA era di 60.000 dollari, oggi è di quasi 500.000. Non esistevano marketing, televisioni satellitari, merchandising, internet e via dicendo. Il basket NBA era qualcosa di leggendario, anche un po’ misterioso e non era ancora un prodotto esportabile al di qua dell’oceano. Incredibile ma vero, la lega attraversava pure una crisi economica, che iniziò a scemare grazie alla rivalità tra Larry Legend Bird e Earvin Magic Johnson, tra i quali faceva spesso da guastafeste l’inarrivabile, nonché carissimo amico di Willie Sojourner, Julius Doctor J Erving, passato finalmente dalla ABA alla NBA, a Philadelphia.
Dunque, nel 1976 Clifford Meely non nuotava nell’oro. Anche perché nell’NBA circolavano ancora più giocatori bianchi che neri. Questi ultimi sempre discriminati economicamente, salvo rarissime eccezioni, e comunque ignorati una volta abbandonato il parquet. Inoltre, a rendere la sua vita più amara era intervenuta anche la prematura morte della figlioletta. Meely stava cercando di capire se proseguire a giocare a basket o no e stava per entrare nel corpo dei vigili del fuoco di Houston quando gli arrivò la chiamata da Rieti.
Grazie al solito Percudani arrivarono in prova a Rieti Owen Wells e Clifford Meely. Il primo non era affatto male, tant’è vero che la stagione successiva Big O («Le donne dicono OOOO quando fanno l’amore con me» spiegava a proposito del suo soprannome Wells che sarebbe morto di Aids una quindicina di anni dopo) fu affiancato a Kresimir Cosic nella Virtus Sinudyne Bologna con cui vinse lo scudetto 1978/79.
Ma se Wells era indubbiamente bravo, Meely lo era assai di più e dopo alcune incoraggianti amichevoli fece fare le valige all’ex compagno nei Rockets. La coppia Sojourner-Meely debuttò al torneo di Todi dove giocava anche la Virtus Sinudyne Bologna che venne stritolata in finale dall’Althea. Ad assistere alla partita c’era il Gm milanese Cesare Rubini, venuto a osservare gli emiliani, che fu però immediatamente stregato dalla coppia di stranieri di Rieti, tanto che a fine partita Italo Di Fazi gli rivolse la celebre battuta ormai passata alla storia: «Cesare, ha ‘istu che americanitti che aio reportatu?».
«Clifford – osserva Roberto Brunamonti – è stato il prototipo del giocatore di basket moderno. Veloce, dinamico, dotato di grandissimo atletismo. Non sfigurerebbe nel basket del 2000. Gran tiratore da fuori, ottimo uno contro uno, gran saltatore ma soprattutto un difensore mai visto. Era 2.04 ma poteva marcare avversari 10 centimetri più bassi di lui come George Bucci di Siena o John Roche della Sinudyne senza far loro toccare palla. Un intimidatore di grande classe».
«Aveva giocato nell’NBA ad alti livelli – aggiunge Zampolini – e noi grazie a lui abbiamo assaporato per la prima volta cosa voleva dire la professionalità. Cliff poteva giocare da 3, 4 o 5 indifferentemente e poteva anche portare palla. Lo paragono a un altro mio grande compagno di squadra della Scavolini: Darren Daye».
Dopo aver disputato per due anni consecutivi la semifinale scudetto (contro Varese e Virtus Bologna) e dopo aver perso un finale di Coppa Korac impossibile da vincere contro il Partizan a Belgrado, nel 1979 la Sebastiani rinunciò a Meely. Ufficialmente perché un ginocchio e la mano destra sembravano dargli dei problemi e perché il Mulhouse (Francia) lo pagava molto di più. In pratica, perché qualcosa nella gestione dell’uomo non andava più bene. Comunque qualunque fosse stato il vero motivo, fu celato a dovere.
Meely era un tipo irascibile. Nel Settembre del 1978, David Vaughn, ex Brindisi, di passaggio a Rieti mentre era in cerca di un nuovo ingaggio, dopo essersi ripreso da un terribile incidente d’auto in cui si era rotto entrambi i femori, al termine di un allenamento litigò nell’infermeria del Palasport con Meely il quale, per tutta risposta, gli tirò una bilancia che per fortuna mancò il bersaglio infrangendosi sul muro. Il massaggiatore, Pasqualino Berton, unico testimone, corse in campo trafelato a chiedere aiuto, e ci pensò Sojourner a calmare le acque. Entrato in infermeria, Willie esclamò un semplice ma eloquente What’s goin’ on? (Che succede?). Come a dire: Qui comando io, volete fare i conti con me?. Meely e Vaughn si ammansirono immediatamente, ma tennero nascosti i motivi della rissa.
Due anni dopo Meely tornò in Italia, all’Eldorado Lazio, A2, allenata da Giancarlo Asteo. Al Palaloniano si disputava un’ amichevole con Rieti (sponsorizzata Ferrarelle) che schierava in campo l’italoamericano Roberto Ferrante, un paisà di 2.04 dal bel tiro da fuori, che sperava di ottenere il passaporto italiano per giocare in Italia. Peccato che alla sentenza Bosman e ad annessi e connessi mancassero ancora 15 anni. In partita Meely era marcato da Ferrante che provò a fare il duro azzardando anche un po’ di trash talking, cioè fece una battuta razzista per tentare di intimidire l’avversario. Cliff non ci vide più e, come fosse il miglior Muhammad Alì, piazzò un perfetto uno-due al volto di Ferrante il quale stramazzò al suolo. L’italomericano era steso sul parquet. Meely gli stava sopra già pronto in guardia e gli urlava: Stand up! (alzati) ma Il povero paisà neanche ci pensava, mentre Cliff veniva trascinato via a fatica. Il pubblico beccò ferocemente Ferrante che, non avendo ottenuto il passaporto, tornò negli USA.
Meely disputò una buona stagione a Roma, ma non era più quello dei tempi dell’Althea. Dopo aver girovagato ancora un po’ per l’Europa, se ne persero le tracce. Purtroppo nel 1985 si venne a sapere che era finito in carcere per spaccio di eroina. E allora qualcuno si ricordò di quando a fine stagione, pulendo l’appartamento di Cliff, dopo il suo ritorno in patria a fine stagione, trovò qualcosa che sarebbe stato meglio non trovare.
Pochi anni dopo, la tragica morte per overdose di Cliff Meely fu pianta sia da Aldo Giordani su Superbasket che dalla Gazzetta dello Sport. Una certezza durata oltre una ventina di anni finché il 30 ottobre 2005 accadde qualcosa di incredibile e inaspettato. Le cose andarono esattamente così.
Quel 30 Ottobre, mentre la Nuova Sebastiani giocava a Novara, Luigi Ricci era a Jesi per seguire il derby con Fabriano. Durante il riposo un sms di Luca Rivani, conduttore della rubrica Time Out a RTR, annunciò: “Cliff Meely è vivo!”.
Pensando a uno scherzo la risposta più ovvia di Ricci fu: “Si, come Elvis Presley!”.
Ma la replica fu seria e decisa: “No, è vero. Ho le prove!”.
Dopodichè Rivani attese pazientemente fino a mezzanotte il ritorno di Ricci da Jesi a cui mostrò una piccola foto in primo piano proveniente dall’organigramma di un liceo di Boulder (Colorado) che raffigurava un certo Cliff Meely.
In pratica era accaduto che un tifoso di vecchia data, Fabio Andreola, preso da un momento di tristezza e nostalgia per la morte di Sojourner, navigando su internet aveva cliccato il nome di Meely sulla sezione immagini di Google. La ricerca però non produsse neanche una fotografia di basket ma solo la foto del liceo di Boulder. Era quello il vero Meely o no? Effettivamente il tizio della fotografia, seppure un po’ ingrassato, somigliava maledettamente all’ex star degli Houston Rockets e della Sebastiani. Ma come poteva essere possibile che l’ex campione, la cui tragica morte per overdose fu pianta oltre 20 anni prima fosse ancora vivo? Non restava che attendere il giorno dopo, cioè lunedì, per telefonare al liceo in Colorado che, tra l’altro, era proprio lo stato di origine di Meely.
La mattina dopo Cliff non era a scuola ma la segreteria dell’istituto fornì gentilmente il numero del telefono di casa Meely, dove una voce stanca e assonnata rispose “Hello?”.
“Mr. Clifford Meely, l’ex giocatore di Rieti?”.
“Certo, sono io. Chi è? Come? Io morto? Ha! Ha! Ha! Ma io sono alive and kicking (vivo e vegeto)!!!”.
Incredibile ma vero, e stupendo al tempo stesso: Cliff era vivo. Ovviamente Meely glissò sull’inevitabile domanda riguardante la sua presunta morte e, giustamente, nessuno indagò oltre. Di sicuro qualcosa di brutto nell’esistenza di Meely, che in passato aveva anche scontato una pena per traffico di stupefacenti, era accaduto però, fatto ben più importante, ne era uscito vivo, vegeto e pulito.
Cliff, stanco e assonnato perché era appena tornato dalla Giamaica per un meeting di ex giocatori NBA dove aveva incontrato anche Julius Erving, fraterno amico di Sojourner, sapeva già della morte di Willie e ne era profondamente addolorato. Dunque, tutto è bene ciò che finisce bene e Cliff salutò dicendo che nell’estate 2006 sarebbe andato in Germania a seguire i mondiali di calcio e che, con l’occasione, avrebbe fatto un salto a Rieti di cui, ovviamente, serba un bel ricordo. Promessa però mai mantenuta. Scaramanzia?