Campionati
2008 / 2009
Terminato il primo campionato di serie A dopo 23 anni di attesa, le prospettive per il secondo non erano assolutamente incoraggianti. A chi si domandava se la Nuova Sebastiani si sarebbe salvata a fine campionato 2008/09, i più realisti replicavano che il vero problema era chiedersi invece se si sarebbe giocato un campionato 2009/10. Una buona parte della tifoseria però, preferì ignorare tale prospettiva e, quasi per offuscare i segnali negativi dettati dalla ragione, si concentrò solo sull’aspetto tecnico-sportivo come per dire “tanto alla fine qualcosa succederà”. Sottovalutando anche il pesante significato del -4, poi divenuto -2, inflitto dalla F.I.P., vero e proprio campanello d’allarme che molti, invece, preferirono non ascoltare.
Sul piano sportivo, per alcune settimane tenne banco l’interrogativo sulla permanenza o meno di Lino Lardo, legato ancora da due anni di contratto, ma che Papalia avrebbe lasciato libero in presenza di una offerta di un club da scudetto o Eurolega. Alla fine, il flirt tra Lardo e Milano non sbocciò in un matrimonio e il coach rimase a Rieti, insieme al fido Alesssadnro Giuliani, per la gioia dei tifosi, rassicurati sulle possibilità di salvezza della NSB.
In realtà, col senno di poi, dopo la partenza di Bonora e Mian, sarebbe stato meglio sciogliere i contratti pluriennali (ben 4 tra giocatori e tecnici), alleggerire notevolmente il bilancio, affidare la squadra a un coach di belle speranze che dirigesse una squadra giovane e affrontare serenamente una quasi certa retrocessione in Legadue, per provare poi a ricostruire, puntando su un bilancio, se non risanato, almeno alleggerito il più possibile.
Invece, il solito smisurato affetto per il basket e per la città indusse Papalia, da sempre nemico della mediocrità, a cercare di dare il classico colpo al cerchio e alla botte: cioè provare a ridurre le spese il più possibile mantenendo un’ossatura da salvezza. Nel frattempo Antonello Riva aveva dato l’addio alla società per trasferirsi a Veroli, per mettere a frutto il tirocinio da dirigente fatto a Rieti. Al suo posto, proveniente dalla Fortitudo, arrivò Alessandro Pasi, ex responsabile del settore giovanile.
Con tale progetto in testa, Bonora e Mian furono rimpiazzati, almeno fisicamente, da Diego Grillo e Nelson Ingles. Anche Helliwell e Hurd partirono.
Gli arrivi iniziali furono l’ala greca Vangelis Sklavos, la gurdia-ala Roderick Wilmont e il playmaker Jerry Green, i cui profili sono nelle sezioni Personaggi e Giocatori Stranieri, più il pivot francese Guillaume Yango. Infine rimasero Gigena e Prato.
Così com’era la Solsonica era assai deboluccia e allora, avendo risparmiato qualcosa si decise di puntare su due statunitensi di levatura superiore. La scelta cadde sull’ex guardia riminese Tim Pickett e sull’ala pivot Donnell Harvey, dai trascorsi NBA. Purtroppo però, i campanelli d’allarme che a Rieti molti preferivano non ascoltare, risuonavano forti e chiari al di fuori delle mura della città rendendo sempre più difficili le trattative con i giocatori, che chiedevano garanzie sempre maggiori. Fu così che Pickett non salì nemmeno sull’aereo per l’Italia mentre Harvey, una decina di giorni dopo l’arrivo a Rieti, se ne tornò a casa.
Queste defezioni alleggerirono un po’ il budget della società che comunicò ad Alessandro Giuliani che si poteva investire qualcosa di più sul pivot e risparmiare sull’esterno. Arrivarono così Pervis Pasco, il cui profilo è nelle sezioni Personaggi e Giocatori Stranieri, reduce da una stagione deludente a Pesaro, e la guardia tiratrice, altro rookie, Folarin Campbell, il cui profilo è nelle sezioni Personaggi e Giocatori Stranieri.
Infine fu aggiunta la promettente ala ceca di 2.08 Jiri Hubalek, il cui profilo è nelle sezioni Personaggi e Giocatori Stranieri, che Papalia definì un investimento della società e una polizza assicurativa per il settore lunghi. Per Lino Lardo la stagione si prospettava durissima.
Per questo Papalia, dopo una corte spietata durata tutta l’estate, finalmente convinse Roberto Brunamonti, che aveva lasciato Roma, a venire ad aiutare Rieti cercando così di lanciare un messaggio di stabilità alla città.
Le ostilità iniziarono benissimo con una vittoria all’esordio, a Rieti, su Montegranaro (finalmente!), una sconfitta ad Avellino e un altro successo casalingo su Pesaro per 61-59, dopo che Myers fallì la tripla del sorpasso finale.
2 vittorie su 3 partite e l’azzeramento immediato della squalifica erano sicuramente una buona notizia ma c’erano già dei problemi. Innanzitutto Wilmont non era buono e fu subito tagliato. Green, invece, non pareva inizialmente avviato a ripercorre le orme di Finley, non solo perchè aveva caratteristiche diverse, ma anche perché in assoluto non parve pronto per il campionato italiano. Infine occorreva risolvere il turnover creatosi tra Yango, afflitto da problemi alla schiena e Hubalek, dotato di potenziale, buon tiratore da 3, ma immaturo tecnicamente e caratterialmente, tanto da avere un rapporto un po’ conflittuale con Lardo che cercava di farlo maturare in fretta e lo alternava in tribuna con il francese a seconda delle esigenze e delle condizioni delle vertebre di quest’ultimo.
In attesa del consueto o.k. della Comtec per tesserare il sostituto di Wilmont, oltre a prendere vita una trattativa con un gruppo imprenditoriale milanese che non andò in porto, altro segno di difficoltà finanziarie, la Solsonica perse prima a Bologna con la Fortitudo (73-67) una partita condotta per oltre 30 minuti contro una squadra che costava quasi dieci volte tanto. Quindi incassò a Rieti il 65-66 di Treviso dopo un paio di errori nel finale di Green. Infine tornò a Bologna, dalla Virtus, per perdere 74-64 (Prato 20) una gara dall’andamento simile a quello con la Fortitudo. Questo match segnò l’esordio di Omar Thomas, il cui profilo è nelle sezioni Personaggi e Giocatori Stranieri. In verità a Papalia piaceva lo spettacolare DeLonte Holland, elemento capace di far vincere o perdere lo stesso numero di partite durante una stagione, croce e delizia degli allenatori, tanto che Lardo preferì un elemento più allenabile, data anche la complessa situazione societaria, meno appariscente e più concreto.
Dopo il rinfrancante successo interno su Biella (91-78, Pasco 25, Gigena 21, Hubalek 17) la situazione era la seguente: Pasco era rinato sotto la cura Lardo; Hubalek, incostante, aveva margini di miglioramento; Green faticava a ingranare, così come Thomas, appena arrivato però; su Gigena e Prato si poteva sempre contare; Campbell, infine, non era un fulmine ma poteva andare.
Arrivarono però 5 sconfitte consecutive, inframezzate dall’addio a Yango, in cui Green dette segnali di essere in grado di diventare un leader. Hubalek, invece, fece quasi pentire Lardo di avere ceduto Yango. Thomas, infine, stentava ancora. Per fortuna Sklavos mostrava doti di leadership.
Sul fronte societario, invece, fu annunciata in una conferenza stampa la necessità, segnalata dalla ComTec, di procedere a un aumento di capitate di circa 600mila euro entro gennaio, per eviatre ulteriori penalizzazioni di punti nella stagione succesiva. Difficile giocare in queste condizioni che, si sa, mettono a rischio la puntualità delle scadenze.
In tale clima, la vittoria su Caserta (60-59) con tiro libero e tripla vincente di Green non fece in tempo a confortare i tifosi sulla tenuta della squadra, che la Solosnica tracollò subito dopo a Ferrara 105-64 mettendo in allarme tutto l’ambiente.
Che fare a quel punto? Molti parlarono di cambiare ancora dei giocatori ma, in realtà, Brunamonti, Giuliani e Pasi avevano le mani incatenate da mille e più problemi che li privavano di qualsiasi operatività. E poi la squadra giocava da settimane sul filo del rasoio in campo, mentre da fuori non arrivavano segnali rassicuranti.
Alla fine non poteva cambiare nulla, Lino Lardo fece quadrato attorno alla squadra che reagì battendo Udine 79-72 con 20 punti di Thomas, la cui stagione prese una svolta positiva proprio da quella gara.
Persa la solita partita a Montegranaro e vinta quella a Rieti contro Avellino, grazie a un Green molto diverso da Finley ma sempre più leader, tanto da ricevere richieste dalla Virtus Bologna, tentata di tagliare “Mister 1.5 milioni di dollari” Boykins.
In settimana però, la squadra incrociò le braccia in attesa di novità sugli emolumenti. Una situazione che tolse serenità producendo un brutta 86-65 a Pesaro. Da quel momento fino a fine stagione ogni benedetto pomeriggio, andando al PalaSojourner, Lardo e Giuliani si domandavano se la squadra si sarebbe allenata. Inoltre, come se non bastasse, il consiglio di ammiistrazione della NSB annunciò che a fine stagione il titolo di serie A, o Legadue, sarebbe stato ceduto e che eventualmente ne sarebbe stato reperito uno di A dilettanti.
Nel frattempo la classifica, partendo dal basso, era la seguente: Udine e Rieti 10, Ferrara e Caserta 12, Biella e Fortitudo Bologna 14. Una situazione incoraggiante per il +7 della Solsonica su una disastrosa Udine, ma quale altra squadra si poteva mettere alle spalle per salvarsi? Con Ferrara si partiva da -35, con Caserta si era appena a +1, mentre con Biella c’era da registrare un buon + 12. E la Fortitudo? Costruita a suon di milioni stava facendo acqua da tutte le parti, ma era sempre la Fortitudo, quando venne al PalaSojourner forte del +6 dell’andata.
Quella però era una sera speciale: la società, infatti, per sollevare il morale e dimenticare altre traversie, aveva deciso di celebrare la squadra campione d’Italia allievi del 1979, i cui giocatori, qualche capello i meno e qualche chilo in più, scesero sul parquet a raccogliere un meritato applauso, peccato mancasse il loro coach, Sandro Cordoni, venuto meno 2 anni prima. In più la NSB fece issare sul soffitto del PalaSojourner lo stendardo che celebrava, oltre agli allievi, anche la vittoria in coppa Korac del 1980 insieme alle riproduzioni delle maglie n. 18 di Willie Sojourner e n. 9 di Roberto Brunamonti. Una grave manchevolezza però ignorare il n. 12 di Gianfranco Sanesi, il più grande giocatore di Rieti di sempre.
Comunque, fu una bella cerimonia quella durante l’intervallo, mentre alla ripresa del gioco il 38-31 per Rieti faceva sperare in un miracolo che, puntuale, arrivò: 73-67 per la NSB, Fortitudo e svariate decine di milioni di euro in ginocchio, più la differenza canestri ribaltata. La salvezza non era più un sogno?
Due giorni dopo, a smorzare gli entusiasmi giunse una doccia fredda: il capitano Patricio Prato, top scorer della serata con 17 punti (seguito da Hubalek con 16) se ne andava a Cantù. Due le versioni: per la società Patricio aveva fatto il diavolo a quattro per andarsene. Per Prato la NSB lo aveva invitato a trovarsi un’altra squadra per alleggerire il bilancio. Dov’era la verità? Fate voi.
Per Rieti, col mercato bloccato da mesi, era una tegola pazzesca. I tifosi, pur consci della delicatezza della situazione, non apprezzarono che proprio il capitano se ne fosse andato. Qualunque fosse la verità “Un capitano, affonda con la nave”, questo era il concetto, al di là di torti e ragioni.
Eppure la squadra reagì bene e a Treviso, se non fosse stato per un dubbio sfondamneto fischiato a Pasco, ci sarebbe potuta scappare la sorpresa, invece dell’82-79 per i veneti. Ma il problema era che tutti si aspettavano il tracollo interno contro la Virtus Bologna. Invece, una sorta di reazione nervosa mise le ali a Rieti che distrusse i felsinei per 80-55 grazie a una magistrale prestazione corale. A fine gara il patron Sabatini si congratulò sul parquet con Lardo, forse nacque lì l’idea di portarlo l’anno dopo a Bologna. Ma non basta, perchè la domenica successiva arrivò da Biella, per la quale Rieti era ormai una vera e propria bestia nera, un successo per 73-79 che significava il 2-0 sui piemontesi. C’era veramente di che sognare visto che Udine e, soprattutto, la Fortitudo proseguivano a perdere colpi.
In pratica, cosa stava succedendo? In poche parole, i giocatori superstiti, comunque ben scelti, poi assemblati e diretti da Lardo e Giuliani, avevano fatto fronte comune in mezzo a tutte quelle avversità, comprendendo che un risultato positivo avrebbe facilitato la firma di un buon ingaggio per la stagione successiva. Inoltre, essendo rimasti in 7 titolari, più l’utile Diego Grillo, tutti sapevano che avrebbero avuto a disposizione tanti minuti per giocare e per superare in campo eventuali momenti di crisi senza dovere per forza tornare in panchina. Purtroppo le soprese non erano ancora finite.
Infatti, sul più bello, a Rieti, contro una non trascendentale Milano la Solsonica perse 65-75 ma, quel che è peggio, Pasco apparve troppo abulico. A mezza bocca Lardo fece capire a fine gara che forse la domenica successiva Pervis non avrebbe giocato e non sapeva più a che santo votarsi. La mattina dopo, alla chetichella, Pasco, senza aspettare e sentire altre ragioni, lasciò l’albergo e se ne andò a Ostenda in Belgio. Motivo? Il solito e, per giunta, siccome alcune scadenze non erano state rispettate, Pervis fece capire di non farcela più a reggere tale situazione. Naturalmente la società dette la sua versione accusando Pasco di inadempienza contrattuale aggiungendo addirittura di essere creditrice del giocatore per alcuni anticipazioni e che ne avrebbe bloccato il tesseramento in Belgio presso la FIBA. Per la cronaca Pasco andò regolarmente in campo a Ostenda.
Lardo intanto faticava a tenere uniti i resti della squadra, pregata di resistere ancora un po’. Accettarono tutti tranne l’impulsivo Hubalek che saltò un allenamento, non comprendendo l’importanza della grande opportunità di giocare l’intero fine stagione da titolare con più di 30 minuti a sera in campo. Fortunatamente Jiri tornò sui suoi passi, chiese scusa a coach e compagni e rimase. Non se ne sarebbe pentito.
Ridotta ormai all’osso, dopo aver perso a Teramo e a Roma e in casa con Siena, arrivò a Rieti Cantù, targata Patricio Prato che, però, non aveva fatto il salto di qulalità sperato passando in una squadra che puntava ai playoff. Uno striscione “Prato pijate casa a Erba” lo accolse al PalaSojourner, insieme a una salva di fischi. L’ex capitano non brillò, e con lui Cantù, surclassata 87-68.
Conscia di dover risparmiare energie per il finale di stagione, la Solsonica perse a Caserta 77-63 e attese a piè fermo Ferrara, contro la quale si andò al riposo con un incoraggiante 42-25. Però, la fatica di giocare con un organico ridotto ai minimi termini si fece sentire nella ripresa favorendo la rimonta estense. A 12” dal termine dopo aver rimesso la testa avanti con la solita tripla di Green (75-74), il coach ferrarese Dalmonte chiese un timeout, quando la palla era già di nuovo in gioco. La sospensione fu concessa nonostante le proteste reatine. Sulla rimessa successiva Harold Jamison subì un dubbio fallo e andò in lunetta per riportare avanti Ferrara 75-76. Nei secondi finali Gigena perse palla e la partita finì lì.
A quel punto la situazione era semplicissima. La Solsonica, che avrebbe disputato l’ultima partita a Udine, aveva 18 punti. Vincendo, avrebbe raggiunto a 20 punti la Fortitudo, se questa avesse perso a Teramo, condannando alla retrocessione i bolognesi che avevano una differenza sfavorevole nei confronti della la Nuova Sebastiani. Ce l’avrebbe fatta?
La gara di Udine è descritta nella sezione Partite Storiche.